Oggi apre il «Festivaletteratura» di Mantova. Non si capisce perché: più festival e libri ci sono meno spettatori e lettori ci sono. Non a caso la gente dice sempre: vado a vedere Roberto Saviano, mentre gli scrittori non vanno visti ma ascoltati. Il problema è sempre lo stesso: già parola Festival ci fa capire che tutto, «red carpet compresi», alla fine è una sagra di divertimento. Ovvero quello che chiamiamo, sul modello americano, «infotainment»: l'informazione diventata divertimento. Qualsiasi telegiornale passa, in trenta minuti, dalla strage di 4000 civili in Siria ai 200 migranti morti nel mar di Sicilia, dalla donna sgozzata dall'ex marito ritrovata nel bagagliaio di un ex calciatore che ha partecipato alla seconda edizione del «Grande Fratello Vip» al cagnolino che ha percorso 1500 chilometri da Catanzaro a Bolzano per ritrovare la casa del proprietario che nel frattempo si era trasferito in Calabria, dall'ultima rivelazione sulla nuova autopsia sul cugino dello zio dell'autista parigino di Lady Diana alla vendita all'asta dello stuzzicadenti di Pacciani. Notizie che non c'entrano una con l'altra, morti che non dovrebbero farci dormire e invece: «Buona continuazione con i nostri programmi».
Più o meno ormai accade lo stesso da qualche anno anche al Festival Letteratura di Mantova che ha snaturato l'idea originale: quella di alcuni lettori che nel 1997 si ispirarono all'evento letterario organizzato a Hay-on-Wye, cittadina del Galles. Ormai si è ridotto a show business che fa fatturati (non solo) sulla carta. L'idea alla base di Mantova, sia chiaro, era buona: portare i libri incontro ai lettori. Ora, però, quella logica è cambiata. Più che partecipare al «divertimento culturale» è uno zapping tra un evento e l'altro. Una passerella d'inchiostro per addetti ai favori.
E i lettori? A Mantova sono spettatori (sul sito li chiamano sempre «pubblico» mai «lettori») che vagano da una piazza all'altra per vedere i loro beniamini da classifica. Già: perché a Mantova ormai i lettori non vanno più per ascoltare, ma per «vedere»; gli addetti ai lavori, invece, per farsi vedere. E se anni fa poteva anche valere la pena macinare chilometri e chilometri per incontrare scrittori che da anni sognavi di ascoltare adesso anche questo miraggio è svanito. Perché le star presenti, a festival terminato, sono subito pronti a partire per tour promozionali che toccano le librerie di tutta Italia. Certo non è facile, in cinque giorni, coordinare «360 scrittori e artisti ospiti, oltre 300 eventi tra incontri, spettacoli, concerti e installazioni» ed è, ogni anno, un miracolo mediatico, gestito dal genio contemporaneo della comunicazione non solo editoriale Mara Vitali, che i quotidiani diano ancora tanto spazio a un circo a pagamento dove al posto degli elefanti delle scimmie ammaestrate ci sono i soliti giallisti, al posto dei migranti ci sono scrittori che parlano di migranti violando, in molti casi, la prima regola, elementare, del giornalismo d'inchiesta: mai scrivere di ciò che non si è vissuto in prima persona o mai scrivere di ciò di cui non sei stato testimone oculare. Alla mente viene una lettera dell'editore Neri Pozza scritta più di trent'anni fa (26 Aprile 1984), ma tutt'altro che datata: «La società letteraria dei nostri giorni mi sembra di natura accidentale ed ha carattere mondano. Si riunisce per qualche ora quando gli eventi indicano le Kermesse. Può essere di mutuo soccorso o mossa da curiosità, come una corsa ciclistica o una partita di calcio. Insomma un'adunanza (ho scritto adunanza e non adunata).
In altri tempi un gran ballo aveva la stessa funzione; ma era una funzione esplicitamente mondana, che portava magari al matrimonio una coppia; e il libro non c'entrava per nulla. Voglio dire che non era chiamato per arruffianare la festa».
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