Il sogno di un nuovo ordine lanciò Benito verso il potere

Nessun appoggio industriale: il centinaio di persone in piazza San Sepolcro a Milano voleva il "socialismo"

Il sogno di un nuovo ordine lanciò Benito verso il potere

Il 23 marzo 1919 era una piacevole domenica primaverile. Quel giorno, a Milano, nel salone del «Circolo per gli interessi industriali, commerciali e agricoli» al primo piano di un palazzo prospiciente piazza San Sepolcro dietro l'Ambrosiana, venne di fatto battezzato il fascismo al termine di una lunga riunione iniziata alle 10 di mattina. Storici di orientamento marxista avrebbero insinuato in seguito che la scelta di quel luogo dimostrava l'interesse degli ambienti industriali per il fascismo; sua si tratta si direbbe oggi di fake news perché quel circolo era un luogo tradizionale di riunione delle principali organizzazioni patriottiche milanesi le cui sale venivano concesse, di norma, a chiunque le richiedesse.

La riunione era stata preparata da una campagna di stampa condotta da Benito Mussolini sulle colonne del suo quotidiano, Il Popolo d'Italia. Due giorni prima, la sera del 21, era stato costituito il Fascio di combattimento di Milano che aveva stabilito che l'adunanza sarebbe stata presieduta da uno dei capi degli arditi, Ferruccio Vecchi. Alla riunione di piazza San Sepolcro non furono moltissimi poco più di un centinaio i partecipanti e non mancò chi, fra i soci del circolo ospitante, si affacciò incuriosito e per pochi minuti. Vi erano, nel salone, molti degli interventisti socialisti, sindacalisti e anarchici che nel 1914-1915 si erano raggruppati nei fasci di azione rivoluzionaria. Vi erano poi ex combattenti, primi fra tutti gli arditi, e non mancavano futuristi, qualche repubblicano, qualche socialista riformista.

Mussolini prese la parola due volte: la prima per illustrare e far votare tre dichiarazioni programmatiche, la seconda per esporre gli ideali del nascente movimento e i suoi obiettivi. Espresse la volontà di opporsi a ogni dittatura: «Noi siamo decisamente contro tutte le forme di dittatura, da quella della sciabola a quella del tricorno, da quella del denaro a quella del numero; noi conosciamo soltanto la dittatura della volontà e dell'intelligenza».

Più che un vero e proprio convegno costitutivo di un movimento politico, la riunione di piazza San Sepolcro fu, come ha osservato Renzo De Felice, «una adunata di persone politicamente affini che stabilirono in quell'occasione di rendere più stabili i loro reciproci rapporti e, all'atto pratico, si trovarono d'accordo su un programma negativo, genericamente orientato a sinistra e ancor più genericamente orientato nel senso di un nuovo ordine che neppure essi sapevano bene prefigurarsi». Eppure quella riunione, che avrebbe avuto una grande importanza anche simbolica negli eventi successivi, fa capire, guardando alla sua composizione e al suo svolgimento, che il fascismo ebbe all'inizio un carattere inequivocabilmente di sinistra. Lo dimostrano gli interventi più significativi della giornata da quelli di Mussolini e di Vecchi a quelli di Filippo Tommaso Marinetti, Mario Carli, Michele Bianchi ma anche i punti più qualificanti del programma dei fasci pubblicato dal quotidiano mussoliniano. Vi si chiedevano l'abolizione del Senato, la giornata di otto ore lavorative, la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell'industria, una imposta straordinaria progressiva sul capitale, la requisizione dei beni delle congregazioni religiose, il sequestro sei profitti bellici e via dicendo.

Hanno osservato Luigi Salvatorelli e Giovanni Mira nella loro Storia d'Italia nel periodo fascista che si trattava di «un programma il più avanzato possibile per chi non volesse arrivare al socialismo integrale, alla democrazia diretta o all'anarchia», un programma sul quale avrebbero potuto convergere «tutte e sole le correnti di estrema sinistra» estranee al socialismo ufficiale se non ci fossero state le rivendicazioni sulla Dalmazia e certe richieste di «riduzione delle funzioni dello Stato».

L'adunata del 23 marzo non ebbe grande eco e pochissimi giornali ne fornirono un resoconto. Anche i primi fasci ebbero vita stentata, tant'è che a luglio Mussolini parlò di essi come di una «organizzazione temporanea» da non confondersi con l'ideale pragmatico del fascismo. Sul finire di quell'anno, nelle elezioni di novembre, i fascisti (che, pure, avevano candidato nomi noti come Marinetti e Arturo Toscanini) andarono incontro a un insuccesso così clamoroso che, per un attimo, Mussolini pensò di abbandonare la politica.

Il fascismo cominciò ad acquistare peso significativo solo tra la fine del 1920 e l'inizio del nuovo anno grazie alla sua graduale trasformazione da movimento rivoluzionario a movimento d'ordine. Il suo spostamento a destra comportò la modifica della sua composizione sociale: a uomini della sinistra interventista che lo avevano tenuto a battesimo si sostituirono o aggregarono persone di estrazione sociale e politica diversa che in esso videro uno strumento utilizzabile in funzione antipopolare e antisocialista. Così, poco alla volta, il fascismo da «urbano» divenne «rurale» o, come si disse, «agrario». Guardarono ad esso con crescente simpatia agrari e industriali zuccherieri, interessati a ristabilire l'ordine minacciato nelle campagne, ma anche quei nuovi proprietari, già affittuari e mezzadri, che avevano acquistato terre svendute per paura, nonché taluni settori della borghesia intellettuale e impiegatizia impregnati di sentimenti nazionalisti e sensibili alla carica evocativa del mito della «vittoria mutilata».

Il fascismo cambiò volto e imboccò la strada del successo politico. A ciò contribuirono sia il timore di una paventata «rivoluzione bolscevica» sia la stanchezza per l'illegalismo serpeggiante nel Paese: pur con metodi violenti, il fascismo sembrò a molti poter assicurare ordine e pace sociale surrogando l'azione incerta o troppo cauta del governo. Insomma, di fronte alle occupazioni di terre e di fabbriche e alla diffusa «scioperomania», esso finì per accreditarsi come sola possibile difesa della borghesia urbana e rurale nei confronti delle pretese e delle violenze delle organizzazioni sindacali e delle leghe contadine egemonizzate dai socialisti e, in qualche caso, dai popolari. In pochi anni, poi, sarebbe maturata la crisi definitiva dello Stato liberale e il fascismo sarebbe giunto al potere.

Il 23 marzo 1919, probabilmente né Mussolini né i suoi compagni d'avventura potevano ipotizzare ciò che sarebbe accaduto. E lo dimostra il fatto stesso che il fascismo delle origini fu ben diverso da quello che, poi, avrebbe conquistato il Paese.

La verità è che dietro la fondazione dei fasci di combattimento nella riunione di piazza San Sepolcro e dietro gli avvenimenti successivi c'erano stati i grandi sconvolgimenti sociali, politici, istituzionale e anche culturali portati dalla Grande Guerra. L'evento, questo, che trasformò la storia del mondo.

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