Stingel, un italiano conquista Basilea e fa «toccare» a tutti la propria arte

In mostra le opere del pittore che ama far partecipare anche il pubblico

Francesca Amé

da Riehen (Basilea)

Che Rudolf Stingel, tra i maggiori artisti italiani viventi, sia un maniaco del controllo lo capisci subito: già nel suo primo libro d'artista, realizzato ormai trent'anni fa, descriveva con precisione tedesca il metodo per realizzare dipinti «alla Stingel». Servono tulle e smalto: si mescola il colore, si applica la tempera sulla tela e vi si appoggia sopra il tulle su cui si spruzza una tinta argentata. Rimuovendo la stoffa si ottiene un'opera astratta quasi tridimensionale, un paesaggio lunare attraversato da venature di colore.

Bastano davvero queste semplici Instructions, per creare capolavori contesi sul mercato? Nato a Merano 63 anni fa, Stingel è tra i più quotati artisti viventi, coccolato anche alle ultime aste newyorkesi: si muove bene tra l'iperrealismo della figurazione e l'astrazione pura, attento a non esporsi troppo, selettivo nelle apparizioni (l'ultima in Italia risale al 2013). Ruvido e seducente come le montagne dove ama passeggiare e sciare, si aggira con circospezione nei luminosi spazi della Fondation Beyeler progettati da Renzo Piano appena fuori da Basilea: fino al 6 ottobre è protagonista di un'ampia personale (9 sale, una trentina di opere, tra cui notevoli inediti). Un italiano ha espugnato il tempio europeo delle esposizioni alla vigilia di Art Basel, la fiera d'arte contemporanea più influente al mondo: la consacrazione è assoluta e meritata. È Stingel stesso, figlio della borghesia altoatesina, a raccontare con una punta di rabbia i difficili esordi, in una scena artistica come la nostra diffidente con le voci «stravaganti». È New York a far fiorire il suo genio: si fa conoscere per i suoi tappeti monocromi disposti sulle pareti, soffici tele su cui ciascuno può lasciare la propria traccia. Ne ritroviamo ora uno nelle prime sale della mostra, di un caldo arancione: ci invita a entrare nel suo mondo. Le opere sono esposte in armonia con le sale del museo, grazie alla collaborazione tra il curatore Udo Kittelmann e l'artista che per gli allestimenti ha ingaggiato gli artigiani meranesi. Non ci sono pannelli descrittivi e quasi tutti i quadri sono Senza titolo ma niente paura: nella prima sala è Stingel stesso a offrirci il «libretto di istruzioni» sotto forma di una enorme tela che ritrae una pistola a spruzzo. Si tratta della rilettura, in chiave iperrealista e autoironica, di una fotografia tratta da quel libretto di istruzioni redatto agli inizi della sua carriera.

Il cerchio si chiude: la pistola di allora è servita a realizzare anche le cinque tele inedite, per la prima volta esposte: sono struggenti variazioni sul rosa e l'argento. Questa personale è un trattato sulla pittura, concepita come atto partecipativo: molte opere sono fatte per essere toccate, o incise. Stingel sfrutta i materiali più vari (metallo, gommapiuma) e i soggetti più diversi (presenze oniriche, una volpe, le vette altoatesine, i decori dei tappeti, i fiori di campo) per dirci che la pittura è combinazione di tracce consapevoli ed eventi casuali e sempre soggetta al cambiamento.

L'arte si fa attingendo al proprio vissuto e seguendo istruzioni precise. Tuttavia, è con gli occhi e talvolta attraverso le mani dell'altro che il processo prende vita: «Il mio lavoro è molto meno complesso di quel che sembra», dice Stingel, onesto e ruvido come la sua terra d'origine.

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