"La vita e la scrittura sono un viaggio. E in fondo c'è la verità"

L'autore: "I luoghi della guerra sono quelli d'origine della mia famiglia. La Storia si ripete"

"La vita e la scrittura sono un viaggio. E in fondo c'è la verità"

Nel romanzo Gli scomparsi, Daniel Mendelsohn si mette sulle tracce di un segreto che riguarda la storia della sua famiglia, e la Grande Storia del Novecento. Gira mezzo mondo e, alla fine, arriva in Polonia, a Bolechów, il villaggio dove la storia e la Storia coincidono, la tragedia famigliare e quella dell'Olocausto. Oggi Bolechów è in Ucraina. Così, dare domani a Capri il Premio Malaparte a questo scrittore americano, professore di letteratura classica, autore anche di Un'Odissea (un viaggio sulla scia di Ulisse e, in parallelo, sul rapporto ritrovato con il proprio padre) è un riconoscimento al potere della letteratura di essere tutt'uno con la realtà e la Storia. Temi, peraltro, al centro di tutti i lavori di Mendelsohn ed esplicitati in Tre anelli (Einaudi, come gli altri suoi libri).

Daniel Mendelsohn, a Bolechów è in corso un nuovo dramma.

«Conosco bene molti dei luoghi di cui si parla oggi, a proposito di Russia e Ucraina: sono parte della storia della mia famiglia. E rivedere lo stesso incubo e le stesse atrocità che si ripetono è un terribile déjà vu storico. È sconvolgente, per me».

In Tre anelli parla di connessioni: anche questa è una coincidenza storica?

«È così. Il tema di Tre anelli è proprio la tendenza della storia a ripetersi; infatti queste connessioni, che sembrano coincidenze, non lo sono affatto: sono inevitabili. La mia formazione è classica e, se si guarda la storia da una prospettiva di lungo periodo, si vede bene che la storia si ripete. E non è accidentale».

Queste connessioni esistono anche nella letteratura?

«Sì. Quello che a me interessa è proprio il modo in cui la letteratura riflette la storia, poiché esse sono interconnesse: le cose che accadono nella vita reale spesso ci sembrano così familiari perché le abbiamo già incontrate nella letteratura... E, d'altra parte, indago anche il modo in cui la vita può essere più artistica della letteratura, a volte».

Gli «anelli» del titolo?

«Tra vita e letteratura c'è una circolarità che, nel libro, narro attraverso tre biografie, tutte interconnesse, di persone reali».

Come quella degli esuli di cui parla, da Ulisse a Sebald, dai suoi famigliari a Fénelon, non solo la vita, ma anche la letteratura è un viaggio?

«Assolutamente. Cerchiamo di dare un senso alla nostra esperienza creando una narrazione, e diciamo che l'esistenza è un viaggio, il cammin di nostra vita, ma così è anche la letteratura. È un tema che affronto in Gli scomparsi, in cui cerco la forma narrativa adatta per un evento che sembra definire la narrativa stessa, e in Un'Odissea, in cui la mia vita e la mia opera si rispecchiano».

Anche le sue opere sono state dei viaggi?

«Quando Gli scomparsi è uscito negli Usa, un critico ha parlato di discesa nel mondo dei morti, un modello classico, anche ovvio se vogliamo, eppure lo avevo assorbito senza rendermene conto. È il viaggio che fanno Dante e Ulisse: bisogna andare in un posto terribile per scoprire la verità e imparare qualcosa».

C'è una circolarità anche qui? Bisogna andare sempre più a fondo, come in una spirale, come Ulisse, per scoprire la verità?

«È come negli studi classici: procedi in circolo. Rivisiti sempre lo stesso posto, la stessa opera o testimonianza, ci giri e rigiri intorno e, ogni volta, vedi qualcosa di diverso. Il lavoro dello studioso classico è un circolo, una ripetizione ma, anche, un progresso: ogni volta vai più a fondo».

Ci sono le fughe reali, degli esuli e dei viaggiatori perenni, e ci sono le fughe mentali, le digressioni in letteratura: anche qui c'è una corrispondenza?

«In Tre anelli mi interessava proprio il parallelismo fra i viaggi dei tre esiliati di cui parlo, tre scrittori che hanno dovuto fuggire così lontano, e la loro letteratura, che è appunto piena di digressioni. Il punto è che, in letteratura, una digressione non è mai una digressione».

Come la coincidenza non è una coincidenza?

«La digressione sembra portare lontano dal tema principale, sembra qualcosa di casuale e, invece, è sempre intenzionale. Ed è una metafora del viaggio, del lavoro letterario come viaggio e della vita come viaggio, e questo è il punto centrale: come ciò che appare un caso sia, in realtà, determinante».

La digressione è la via per la conoscenza?

«Più vai lontano, più impari. Ma poi devi tornare indietro, al cuore del tuo lavoro. Sa, mio nonno era un narratore formidabile nelle digressioni, e per me è stato un modello fin da quando ero bambino: quindi credo di avere sviluppato un senso particolare per le digressioni come forma narrativa. Che poi è quella che troviamo nei greci, in Omero, in Erodoto: è un modo naturale di raccontare storie».

Non è anche la chiave di molte serie tv?

«Sì. Io scrivo di critica televisiva e seguo moltissime serie, ieri qui ho guardato Un posto al sole... Ora, un fenomeno tipico delle serie tv è questo: la prima stagione è bella, la seconda insomma, la terza per niente».

Perché?

«Perché l'imperativo di una buona storia è che debba finire, mentre l'imperativo di una serie di successo è che vada avanti per sempre; perciò, le due cose

sono in contrasto. Spesso, infatti, le serie migliori sono quelle che hanno un numero limitato di episodi. Ma come si può riuscire a fare andare avanti bene una serie? Anche questo è un tema che mi interessa moltissimo...».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica