Roma - La notte dell'Olimpico manda in Paradiso l'Inter con un finale thrilling, molto simile a quello che i nerazzurri avevano vissuto contro la Juventus tre settimane prima. La sponda nerazzurra di Milano ritrova così la Champions dopo sei anni e Luciano Spalletti compie un'altra impresa delle sue. Ovunque è andato, ha sempre lasciato la sua impronta e i tre minuti che cambiano la storia del campionato e della volata Champions se li ricorderà a lungo. Come li ricorderà Simone Inzaghi, al quale non basta aver eguagliato il record di punti della Lazio in A (72, come la squadra tricolore di Eriksson nel 2000) e di gol segnati (89, che diventano 123 nelle 55 gare giocate in stagione). Biancocelesti ancora senza Champions dopo dieci anni, traguardo centrato invece per gli interisti. Un traguardo che apre scenari rosei per il futuro con un Fair Play finanziario da onorare ma con in cassa il tesoretto che garantisce l'accesso ai gironi della Champions e la diaspora evitata di molti giocatori importanti della rosa.
Si ripartirà dalla guida tecnica di Spalletti - ufficialmente mai in discussione anche se non fosse arrivato l'obiettivo sperato - che aveva sempre creduto (anche alla vigilia della gara di ieri) nel suo gruppo pure quando l'Inter aveva mostrato sbandamenti imprevisti. E nella settimana più difficile, quella nella quale doveva preparare la gara della vita, si è quasi trasformazione in mental coach, esaltando l'ego dei suoi giocatori. E al fischio finale è andato sotto il settore dei tifosi nerazzurri per urlare la sua gioia. «È la vittoria di un grande gruppo», sottolineerà alla fine Cancelo. Non una bella Inter quella vista all'Olimpico ed è una costante della stagione. Spettacolo la truppa nerazzurra ne ha offerto sempre poco, ma ieri è stata concreta nelle rare occasioni che la Lazio ha concesso. I biancocelesti possono rammaricarsi per non aver chiuso prima una gara che hanno a lungo tenuto in pugno. Quel palo di Milinkovic-Savic grida vendetta, Icardi si prende il trono dei bomber in una serata non certo eccezionale (e che confermerà i dubbi del ct dell'Albiceleste Sampaoli sulla convocazione mondiale di Maurito) in coabitazione con Immobile, generoso ma assolutamente privo di forze dopo il recupero record. Non voleva saltare questa sfida, ha provato a tenere alta la squadra, ma le energie erano veramente al lumicino. La truppa di Inzaghi paga gli errori di Strakosha (sul primo e sul terzo gol, quando non esce nell'area piccola) e in generale la scarsa attitudine a partite così importanti, vedi anche il crollo europeo di Salisburgo. Una squadra imperfetta, che mostra bel gioco ma non sa gestire mentalmente i momenti top. E nella notte in cui il Var aveva fatto finalmente giustizia dopo i tanti episodi contrari della stagione, ha pagato l'amnesia finale.
Partita vibrante degna di uno spareggio che valeva tanto a livello economico e di prestigio (Inzaghi dixit). Per un tempo comanda la Lazio che va in gol in maniera fortunosa (deviazione di faccia di Perisic sul tiro di Marusic), manca il raddoppio di pochi centimetri con la perla su punizione di Milinkovic-Savic, paga l'incertezza sulla quale D'Ambrosio riequilibria la sfida, torna avanti con l'imperiosa progressione di Felipe Anderson ben servito da Lulic.
Nel momento in cui i biancocelesti dovrebbero mettere una pietra tombale sul match, si spegne la luce. Milinkovic cala vistosamente così come il resto della squadra, l'Inter non sale in cattedra ma prende campo.
Fino al rigore di Icardi, il suo 100° gol in A, che riapre la speranza e la zuccata di Vecino che è il quindicesimo gol di testa del campionato interista. La festa dei 15mila interisti può cominciare, la Lazio si dispera per un'occasione gettata al vento.
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