In ritiro nell'hotel della Continassa. Forse la punizione riguarda proprio il cosiddetto resort bianconero, collocato là dove non osano non tanto le aquile ma i comuni turisti che sbarcano a Torino. La Juventus dichiara ufficialmente di essere una squadra come le altre, quelle di metà classifica seguendo il pensiero del suo allenatore e, dunque, va in ritiro cosa che a memoria di homo bianconeurus si ritrova negli annali di famiglia, una sola volta, sempre con lo stesso Allegri nell'ottobre del 2015, dopo la sconfitta con il Sassuolo. Allora portò benissimo, alla risalita dall'undicesimo al primo posto finale con una piccola riflessione: erano appena arrivati Cuadrado, Alex Sandro, Khedira e Dybala... il bilancio consentiva questo e altro, il crollo di Inter e Napoli consentì il trionfo, un precedente irripetibile a meno di un miracolo in contemporanea a due o tre fallimenti (Inter-Napoli-Milan). Aggrapparsi a quel precedente è roba da fattucchieri. Resta la considerazione sull'attuale stato dell'essere, nel caos e nell'indisciplina generale, con attori in campo e fuori che sono imago sine re. L'allenatore Allegri ha trovato ancora una volta il modo di scaricare sulla squadra errori e responsabilità, aggiungendo che dovrebbero vergognarsi del tanto o poco offerto. Si è però dimenticato di rivolgere la vergogna anche a se stesso, ormai comparsa di una commedia trasformata in farsa. Il calcio oratoriale della Juventus è cronaca puntuale di ogni partita, vinta, pareggiata e persa, lo sfaldamento della squadra risponde a quello del gruppo, in assenza del capo e dei capi. Andrea Agnelli pensa e parla del futuro, della Superleague, delle prospettive finanziarie ma ha perso di vista la realtà contemporanea, se il suo vicepresidente è oggetto di critiche da parte dei soci azionisti qualcosa deve significare ma è proprio la mancanza di autorità che segna il cammino della Juventus che non ha il problema del distacco dal vertice ma dei punti che la dividono dalla zona retrocessione, un'area che non è abituata a frequentare, sul campo e tra i dirigenti, fatta eccezione per il folignate Cherubini che ha vinto al superenalotto il ruolo di capo dell'area tecnica. Allegri sbanda, non ha carisma e non gli interessa averlo se non con le battute in conferenza stampa, già nell'ultimo anno milanista aveva dimostrato un appannamento che aveva portato Galliani e Berlusconi all'allontanamento. I risultati grandiosi ottenuti a Torino, cinque scudetti consecutivi e tutto il resto, si possono spiegare con l'organico a disposizione e l'eredità Conte, non certo per la qualità del gioco rispetto alla qualità degli interpreti. La Juventus si è lentamente logorata, Sarri ha saputo raccoglierne gli ultimi fuochi, come Andrea Pirlo (grazie anche al Covid che aveva bloccato la marcia della Lazio) ma Agnelli ha voluto tornare al vecchio regime, dimenticando le lacune di Allegri e finendo vittima della solita mozione degli affetti, dunque contratto quadriennale ultramilionario in tempo di piena crisi aziendale. La chiusura con Paratici, responsabile di scelte sbagliate e di salari spropositati, è stata bilanciata dalla promozione di Arrivabene a Ceo ma l'ex uomo Ferrari deve fare i conti con un governo che oscura la Juventus invece di illustrarla, un rettilario che ha trasformato un club modello in un club modellino da ricostruire, pezzo per pezzo.
E purtroppo nelle mani di chi non sa da che parte incominciare. Domani sera Allegri spezzerà le reni ai russi, poi sabato pomeriggio scatterà la grande rimonta contro la Fiorentina. Così si vive nel lugubre ritiro della Continassa.
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