Caro Direttore,
è da un anno e mezzo che non scrivo più per il Giornale in seguito al mio dissenso nei confronti di Berlusconi, ma oggi Le chiedo dopo tanto tempo ospitalità. Il motivo è semplice: io da liberale ho ben chiare le regole tassative con cui una liberaldemocrazia parlamentare (cosa ben diversa da una banale democrazia generica, magari di modello russo o venezuelano) deve funzionare e resto uno degli ultimi gelosi tifosi delle regole. Fra queste, quella secondo cui ciò che appartiene alla sfera politica va affrontato dalla politica, mentre ciò che appartiene ad altri universi e funzioni deve essere svolto separatamente dalla politica, ma non a scapito del suo primato perché il primato della politica è la premessa della democrazia. Voglio anche dire che ho un assoluto rispetto per la magistratura perché rende alla collettività il fondamentale servizio pubblico della giustizia, ma nella mia grammatica liberale la magistratura non è un «potere» dal momento che l’unico potere è nel popolo il quale periodicamente, con le elezioni, lo delega al Parlamento.
Come forse sanno i suoi lettori, su molti comportamenti e scelte di Berlusconi ho espresso e confermo giudizi negativi: ho scritto un libro, ahimè di gran successo (avrei preferito non essere profeta in patria) che si intitola Mignottocrazia; e un altro, Guzzanti VS Berlusconi, in cui ho raccontato la storia collettiva di una illusione e di una delusione per una più volte annunciata rivoluzione liberale di cui però non si è vista nemmeno l’ombra.
Ricordo poi di aver rotto politicamente con il presidente del Consiglio a causa dei suoi rapporti con Putin e per l’invasione russa della Georgia nel 2008, dopo essere stato massacrato in patria dalla sinistra politica e mediatica come presidente di una Commissione parlamentare d’inchiesta sulla penetrazione russa in Italia. Infine, sono uno dei tanti italiani imbarazzati, e peggio, dalle notizie pubbliche sulla vita privata del premier e non per «moralismo laicista piagnone e bacchettone», ma proprio perché da liberale ho un rispetto sacrale per il decoro della Repubblica e di chi, rappresentandola, associa il proprio volto e il proprio stile di vita all’immagine interna ed esterna del Paese.
Condivido di conseguenza l’opinione espressa anche da Barbara Berlusconi in una intervista secondo cui la vita privata di chi ha responsabilità pubbliche non è più privata ma è pubblica; e penso - sicuramente in contrasto con quel che pensa lo stesso Berlusconi - che non si possa invocare per chi svolge un ruolo pubblico lo stesso diritto integrale alla privacy di cui gode il normale cittadino. Ma riconosco anche che tutto ciò costituisce materia di discussione e scontro politico e in quello scontro so da che parte stare.
Ma qui, gentile direttore, sta accadendo qualcosa di subdolo e coperto da camuffamenti ipocriti: vedo diffondersi infatti l’uso di un’arma impropria, un piede di porco impugnato da una parte dell’opposizione che pensa di cavalcare i fatti di Tunisi e del Cairo e che consiste nel far credere che si stia combattendo non una battaglia politica, ma la tirannide che segue una democrazia morta o mai nata. Questo trucco è non soltanto l’espressione di un falso, ma nasconde una minaccia: di sicuro (e non da oggi) la nostra democrazia mostra crepe, ma è ben viva. Recitare in piazza l’happening in cui si finge di abbattere il tiranno, è sia una scorciatoia che una mascalzonata: non tanto nei confronti di Berlusconi, ma del Parlamento e della Costituzione.
Quel che si vede in questi giorni è una copia posticcia dell’onda lunga egiziana da cui parte l’urlo «dimettiti!» che nelle intenzioni dovrebbe rovesciare Berlusconi alla maniera in cui è stato abbattuto Mubarak, come se il presidente del Consiglio italiano (che non soltanto è stato regolarmente eletto, ma anche regolarmente battuto per due volte nel 1996 e nel 2006) fosse assimilabile a un rais, a un caudillo, a un hombre fuerte alla vodka. Questo comportamento non ha a che vedere con la lotta politica contro Berlusconi, ma con la negazione della democrazia, premessa indispensabile per sostenere che c’è un tiranno da abbattere costringendolo alle dimissioni fuori dal contesto politico. Mentre Hosni Mubarak parte da Sharm el-Sheik per destinazione ignota, si sente crescere lo starnazzo dei Fratelli Musulmani dal Cairo ma anche di quelli «de noantri» e io francamente non vorrei fra i piedi alcun Fratello Musulmano a Roma e neanche al Cairo. Cercare di ottenere la caduta politica di Berlusconi con armi che non sono della politica ma che appartengono ad altre funzioni, come la magistratura, significa accoltellare la democrazia e ridurre in carta straccia il principio di rappresentanza.
Giovedì sera ad Annozero Nichi Vendola ricordava che Berlusconi occupa il suo ufficio di capo del governo per essere riuscito a «vendere un sogno agli italiani» i quali per questo e almeno finora gli hanno affidato la delega di un consenso perfettamente legittimo e democratico. E questo mi sembra un dato di fatto, sia che piaccia sia che non piaccia l’attuale presidente del Consiglio.
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