Paura e tensione negli aeroporti dopo il ritorno del terrorismo islamico

Qualche ora di scalo a Londra è sufficiente per comprendere il clima di tensione e sospetto che ha fatto ripiombare gli aeroporti europei in modalità post-11 settembre

Paura e tensione negli aeroporti dopo il ritorno del terrorismo islamico

Un fantasma si aggira per l’Europa: il sospetto e la paura negli aeroporti. Dopo l'attacco sferrato da Hamas in Israele, il moltiplicarsi di episodi violenti, seppur isolati, ha riacceso nel continente l'incubo degli attentati terroristici. In particolar modo dopo l'episodio di Bruxelles, costato la vita a due tifosi svedesi, uccisi dalla follia di un terrorista islamista. Una notte di terrore e una caccia all'uomo che hanno immeditamento alzato ai livelli massimi l'allerta in Europa, tra luoghi sensibili e importanti snodi di trasporto. La memoria, infatti, è andata subito al marzo 2016, quando tre attacchi coordinati colpirono l'aeroporto della capitale belga e la stazione della metropolitana di Maelbeek.

Come sono cambiati gli aeroporti europei in due settimane

Come dopo l’11 settembre 2001, quando abbiamo iniziato a divenire familiari con lunghe attese in aeroporto, scanner che suonano ad ogni pezzettino metallico, i liquidi nelle bustine a chiusura ermetica, l’acqua che non si può portare a bordo ma solo pagare a prezzo d’oro al duty free. I controlli ossessivi negli aeroporti sono diventati la quotidianità per chi viaggia per piacere e per mestiere. Anche per una generazione che l’11 settembre non l’ha nemmeno vissuto, e che è nata nell’Europa senza confini, ma già percossa dal terrorismo islamista.

Tuttavia, fino al 7 ottobre scorso, tutto questo sembrava una realtà accettata obotorto collo, leggermente inasprita dalla pandemia e dal conflitto in Ucraina. L’escalation in Medio Oriente, invece, ha irrigidito ancora di più confini e controlli, nonché la sensazione di vivere in un mondo sempre più ristretto e controllato. All’indomani dell’attacco ad Israele da parte di Hamas, otto Stati europei hanno sospeso il Trattato di Schengen: l’Italia con i confini sloveni, Austria, Germania, Norvegia, Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia, Svezia e Francia. Negli aeroporti d’Europa il clima è pesante: file d’attesa estenuanti, presenza massiccia di forze dell’ordine, controlli severissimi su persone e bagagli. Quello che prima poteva essere trattato con piccole leggerezze (o buon senso) ora non viene tollerato. Qualche esempio di totale lassismo c’è, e sconvolge tanto quanto le misure draconiane.

Un normale scalo a Londra, specchio dei tempi che viviamo

Ma che la storia stia entrando nelle case di tutti è più chiaro in alcuni luoghi che altrove. Nelle capitali europee ancora di più: lo confermano i colleghi alle prese con altre mete, ma medesime peripezie. Chi da Parigi, in questo weekend, alle prese con controlli severi e masiccia presenza dell'esercito in aeroporto. Ancora di più a Bruxelles o Stoccolma. Londra è uno di questi nodi caldi: crocevia da e per l’Europa, ma anche da e per l’Atlantico. Ci aveva pensato dapprima la Brexit a ripristinare un’ulteriore vallo di Adriano per chi desideri volare verso Sua Maestà: il passaporto, per ora, ancora senza visto. Un gigantesco passo indietro per un Paese che ospita da sempre genti di ogni parte del mondo, soprattutto europei che qui lavorano e studiano.

Qui, perfino uno scalo “minore” come Stansted è teatro drammatico dei tempi che cambiano. A terra, tra un’area e l’altra, ancora permane qualche pallido residuo della pandemia: le orme per indicare il distanziamento in fila, i dispenser per gli igienizzanti mani. Perfino qualche vecchia istruzione sulle regole di comportamento ai tempi del Covid-19. Ore 13.00 di una tranquilla domenica d’ottobre: la sottoscritta è in viaggio verso Vilnius e sosta nello scalo londinese per svariate ore. Quanto basta per saggiare un mondo che è imploso in sole due settimane.

Le file per i controlli agli arrivi sono estenuanti. Complici anche i grandi flussi ma, in entrata, se si possiede un passaporto europeo con lettore ottico, è tuttavia tutto più semplice. Quanto basta a capire di vivere in un luogo privilegiato, il cui simbolo basta come garanzia di rispettabilità rispetto ad altri passaporti che seguono altri percorsi. Qui e lì totem recanti la bandiera ucraina a indicare i welcome point dove è possibile incontrare il proprio sponsor, ottenere aiuto e supporto, organizzare il viaggio verso il proprio sponsor o ospite. Ulteriori servizi come aree per il riposo, wc, stazioni telefoniche, servizi di tutoraggio e traduttori. Un paio di persone dal passaporto blu, chiedono informazioni di fronte a quella che sembra una rete di solidarietà giallo-blu in smantellamento. Increduli, smarriti, come chi in pochi giorni ha perso anche il diritto alla tragedia.

Da due settimane circa, sebbene i volontari non siano stati ancora mandati del tutto a casa, c’è un’altra emergenza che ha relegato nell’ombra la prima: quella in Medio Oriente. Ovunque sono affissi cartelli, in doppia lingua (ebraico e inglese), rivolta a cittadini israeliani, o che hanno viaggiato in Israele negli ultimi giorni, e che sono state vittime dell’attacco di Hamas. In molti li fotografano con i propri smartphone per condividerli, qualcuno li osserva con gli occhi rossi, nascondendo alla vista altrui il passaporto in tasca. Le istruzioni invitano i suddetti viaggiatori a chiedere assistenza e di contribuire a riportare ciò che si è subìto, in prima persona o meno. Questo anche perchè il governo britannico ha classificato i fatti accaduti in Israele come atti di terrorismo, affidandone le vittime alla Criminal Injuries Compensation Authority secondo lo schema di risarcimento previsto nel 2012 per le vittime di “terrorismo d’Oltremare”. Destinatari coloro i quali sono stati colpiti da attacchi o hanno avuto familiari uccisi negli attentati.

Uscire dagli aeroporti inglesi

Per chi non deve entrare nel Regno Unito, ma deve meramente fare scalo verso altre mete, i controlli in uscita sono ancora più severi di un tempo. La maggior parte dei viaggiatori non passa indenne alla scansione sia personale che del proprio bagaglio: in modo burbero e minaccioso si viene invitati a denudarsi progressivamente, e lì dove un tempo era sufficiente spiegare il “beep” con le rifiniture di una scarpa o il ferretto di un reggiseno, ora nemmeno la perquisizione basta. Sfilare, togliere, fino a quasi la pelle nuda. Così, l’area controlli finisce per somigliare ad una Babele tragicomica di gente scalza, con i calzoni calati per le cinture di cui sono stati privati, con addosso solo l’essenziale. Non solo si va a caccia di ordigni, sostanze o dispositivi, ma di tracce di esplosivi su abiti, calzature e mani. Stessa sorte infame per i bagagli: per quelli che non hanno la fortuna di uscire indenni dai controlli, le famigerate vaschette vengono spesso rifiutate per prendere un percorso parallelo, ove un addetto alla sicurezza smonta pezzo per pezzo, ravanando nell’intimo di ognuno di noi. Modi grossier, ordini intimati esclusivamente nella lingua di Sua Maestà. Quasi sempre la pietra dello scandalo è un dentifricio non imbustato, un asciugacapelli non tirato fuori, un laptop. I malcapitati si ritrovano un bagaglio a brandelli col quale vagare per l’aeroporto per rimettere insieme i pezzi, mentre si rischia di perdere oggetti preziosi, documenti…e il prossimo volo.

Altri aeroporti europei: Vilnius, Vienna, Bari

Una manciata di ore dopo la bolgia dello scalo londinese, è la volta di Vilnius. Le repubbliche baltiche scontano da tempo immemore il loro essere crocevia tra est e ovest. Ergo, il Paese, oltre a blindarsi come il resto d'Europa, vive già in stato d'allerta dallo scoppio della guerra in Ucraina. Non solo, ma proprio in queste ore Vilnius ha inasprito il clima al fulmicotone nei confronti di Minsk: solo ieri, la primo ministra della Lituania, Ingrida Simonyte, al termine dell'incontro con la leader dell'opposizione democratica bielorussa in esilio, Svetlata Tikhanovskaya, ha sottolineato che la Lituania continuerà a cercare attivamente di espandere le sanzioni dell'Ue contro il regime di Lukashenko per l'assistenza fornita alla Russia nella guerra contro l'Ucraina e per le violazioni dei diritti umani in Bielorussia.

aeroporto Vilnius

Nel piccolo aerporto lituano l'ingresso non sembra presentare eccessive complicanze per chi proviene dal resto d'Europa. Qui i controlli sono lasciati agli scanner automatici per i documenti. Anche la presenza delle forze dell'ordine non sembra eccessiva. In uscita, tuttavia, la situazione cambia. La fiscalità dei controlli è pari a quella londinese, sebbene i minori flussi di passeggeri contribuiscano a una situazione maggiormente fluida. Perquisizioni minuziose, bodyscanner che pare suonare a priori, indipendentemente da ciò che si indossa, bagagli sventrati e passati al setaccio per rilevare gli esplosivi. Sebbene i modi siano decisamente più rilassati e le procedure rapide, basta uno zainetto abbandonato qualche minuto su una sedia da un'anziana signora per scatenare le reprimenda e i modi bruschi del personale. Next stop, Vienna.

All'arrivo a Vienna nessun controllo in entrata, almeno per chi deve effettuare il mero transito. Nessuna presenza di forze armate/dell'ordine a presidio di gate o punti di aggregazione. Ma la cosa più sorprendente è che in uscita (direzione Bari) non c'è nessun altro tipo di filtro. Strana scelta per una nazione che ha sospeso Schengen. L'imbarco è ultra rapido: vengono controllate esclusivamente le carte di imbarco e non i documenti. Una pratica desueta, considerando che ormai i controlli sui documenti vengono effettuati ai gate,e non ai check in di sicurezza, almeno nell'Unione. Ergo,di questi tempi, se altrove i controlli sono al limite dello Stato di polizia, è stato possibile, nei fatti,viaggiare in aereo da Vilnius a Bari, passando per Vienna, venendo controllati solo in Lituania. Qualche ora dopo giungo a Bari, Italia. Il mio viaggio finisce qui. Anche in questo aeroporto alcun controllo in entrata. Il dubbio corre legittimo: sono gli "estremi d'Europa" ad eccedere o è il cuore del Continente a seguitare secondo business as usual?

Aeroporto Vienna

La sicurezza monca dei nostri aeroporti

Tutto sacrosanto, ma le maniere grossolane e il clima di sospetto e angoscia rendono tutto insostenibile. Per non parlare del fatto che i controlli minuziosi vengono subìti quasi sempre in misura maggiore da chi per fattezze o abbigliamento potrebbe essere associato al mondo dell’estremismo islamico. Compresa la sottoscritta che, in barba al suo passaporto italiano, mostra lineamenti mediorientali (come buona parte degli italiani del sud). Saggiare su di sè lo stigma rende a propria volta intolleranti, azzera il "privilegio europeo", obbliga a riflettere con amarezza. A Londra, nonostante il caos dei controlli, il tutto avviene nel più profondo silenzio delle persone, intervallato esclusivamente dal fracasso di borse, rulli e box di plastica dura. Non c'è voglia nè modo di scambiare due ciarle con gli sconosciuti: "meglio evitare", "non si sa mai". A rompere questa fabbrica del caos solo le reprimenda del personale, che alterna la litania delle istruzioni a intimazioni che ricordano la voce fuori campo di Another brick in the wall.

Sebbene necessari, questi controlli con l’accetta non hanno risolto ancora due grandi dilemmi che rischiano, a guardarli da fuori, di far apparire ridicoli questi formicai di controllori e controllati. Ispezioni che hanno certamente evitato stragi e conseguenze spiacevoli ma che “proteggono” esclusivamente dal tapis roulant dai controlli di sicurezza all’aereo. Ergo, un attentatore, fingendo di essere un accompagnatore è in grado di fare una strage potendo giungere indisturbato con armi e bagagli fino ai controlli di sicurezza. Mutatis mutandis, Al-Qaeda ci ha invece dimostrato come basti un manipolo di invasati e qualche taglierino per usare quattro aerei come delle bombe su obiettivi civili e militari, mettendo sotto scacco governi e nazioni potenti.

Armi, lame, liquidi possono essere banditi quanto si vuole, ma di per sè non scongiurano il peggio: il terrorismo fondamentalista, che sia imbottito di captagon o meno, agisce con la più potente delle armi. La mente umana.

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