«Dona i pensier che il memore/ ultimo dì non muta», scrive il Manzoni in La pentecoste. Intende le convinzioni profonde che non si possono confondere con la paura che ci fa credere e sperare in un Dio da cui siamo sempre stati distratti: cioè pensieri santi, di cui non ci si deve pentire nel giorno estremo della vita, quando torna alla memoria tutto il passato, e ci conviene pentirci nell'incertezza di che ci aspetta. Contro la temuta punizione. Una vita giusta, una condotta retta. La vita dei santi; delle vergini; delle donne virtuose. Vediamo la storia di Lucrezia.
Tito Livio racconta che Tarquinio, invitato a cena da Collatino, conobbe Lucrezia e se ne innamorò, e la volle a tutti i costi. Qualche giorno più tardi, all'insaputa di Collatino, andò da Lucrezia che lo accolse senza sapere quali fossero le sue reali intenzioni. Terminata la cena, Tarquinio si ritirò nella stanza degli ospiti. Nel pieno della notte entrò nella stanza di Lucrezia. La donna, nel terrore, lo respinse, mentre Tarquinio le dichiarava il suo amore, alternando suppliche a minacce. Vedendo Lucrezia irremovibile, Tarquinio pensò di disonorarla sgozzando un servo e mettendoglielo nudo accanto, per far credere che avesse avuto un rapporto con lui.
Lucrezia, affranta, cedette. Tarquinio ripartì soddisfatto. Lucrezia inviò un messaggero al padre a Roma e al marito ad Ardea, pregandoli di raggiungerla al più presto, insieme a un amico fidato, poiché era successa una cosa tremenda. Alla presenza dei suoi cari, Lucrezia in lacrime raccontò l'accaduto e si trafisse il petto con un pugnale, che nascondeva sotto la veste.
La vicenda ha ispirato numerosi pittori, attratti dal groviglio psicologico di senso di colpa e virtù, di sensualità e vergogna, di erotismo e dolore. Tra i più drammatici, nel racconto della violenza, è certamente Tiziano, in una prova sconvolgente dei suoi tardi anni. Il dipinto è conservato all'Accademia di Belle Arti di Vienna, ed è dominato da una energia cromatica che ha la evidenza di una ferita, rosso come sangue, in un corpo a corpo che restituisce la rappresentazione all'irruenza del reale. Un grande studioso come il Tietze, nonostante le dimensioni al vero (140x100 cm), lo credette «un abbozzo preparatorio», non comprendendo la libertà e la velocità della esecuzione come un equivalente dell'istinto brutale che muove l'azione. Non è realismo, è l'hic et nunc del raptus di Tarquinio.
Quanto diversa la olimpica rappresentazione di Lucrezia nella versione giovanile dello stesso Tiziano, dove Tarquinio è un'ombra, un dettaglio alle spalle di lei che, come un eroina, domina lo spazio con il suo gesto determinato e il suo sguardo fiero. Non c'è corpo, non c'è eros. Lei è luminosa e vittoriosa sul male, nascosto nell'ombra, sopraffatto, intimidito. Quando, dopo più di mezzo secolo, Tiziano torna ad affrontare il soggetto, è un altro uomo, sente con tutte le sue energie il delirio che muove Tarquinio alla violenza, e non ha freni, è trascinato da una forza che non può contenere. Tiziano dipinge un raptus, il sangue alla testa che si diffonde sulle vesti di Tarquinio. Tiziano pesta il colore, con la stessa violenza che Tarquinio usa a Lucrezia.
La stesura si fa così un esempio premonitore della action painting, la pittura informale che è il risultato di un processo di improvvisazione caratterizzato da uno stato di trance in cui la produzione creativa è guidata dall'inconscio e vuole riprodurre il ritmo vitale. La tela diventa semplicemente il supporto in cui si fissa l'esperienza artistica e si definisce in quanto configurazione di uno stato d'animo. Esaltante è la veste di Tarquinio, mentre la veste bianca di Lucrezia è l'estrema concessione simbolica alla resistenza psicologica della virtù. Tiziano, con la pittura indaga l'inconscio, supera ogni confine tra emozione e pittura.
Non andrà oltre Jackson Pollock, immerso in quella che appare una vera e propria performance a ritmo di musica jazz: l'atto di creazione dell'opera entra a far parte dell'opera d'arte stessa lasciando tracce evidenti dei movimenti di chi l'ha dipinta. Così Tiziano, quattrocento anni prima. La violenza dipinta.
Nessuno potrà superarlo, tornando al soggetto fortunato: altri mondi ,altre grazie racconteranno Guido Reni, in diversi momenti, pur arrivando anche lui, nei suoi tardi anni, a una pittura libera, di materia inconsistente, senza corpo, quasi una versione concettuale della punizione che Lucrezia si infligge, o Guido Cagnacci, con la sua interpretazione sensuale e melodrammatica.
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