La ricetta della Bce per salvare l’Italia è stata avvolta nel mistero per due mesi. Stava scritta in una lettera riservata, inviata il 5 agosto al presidente del Consiglio e firmata da Jean-Claude Trichet e Mario Draghi. Lettera che, senza conoscerne i contenuti, è stata utilizzata dalle opposizioni a questo governo per evocare il commissariamento del Paese attraverso una manovra economica dettata, appunto, dalla Banca centrale europea.
Ma ora che la missiva è stata resa pubblica (il Corriere della Sera
l’ha pubblicata ieri), nel leggerla si vede qualcosa di diverso:
le misure suggerite e ritenute essenziali rispondono, almeno in
grandissima parte, ai principi del programma economico di Silvio
Berlusconi, non a quelli del Pd o dell’Italia dei Valori. E nemmeno
della Confindustria, in prima linea a cavalcare l’indignazione verso
il premier. Un programma fatto di liberalizzazioni nel mondo del
lavoro e dei servizi; di meno tasse per cittadini e imprese; di meno
privilegi e più efficienza nel settore pubblico.
Attenzione: ciò
non corrisponde esattamente al programma del governo; né a un ideale
manifesto economico del Pdl. Bensì alle convinzioni che Berlusconi
ha portato in politica quando, nel 1993, ha fondato Forza Italia. E che
lo stesso premier ha provato a rilanciare all’inizio di questa crisi,
4-5 mesi fa. Ora, questi principi possono piacere o meno; e sulla loro
efficacia si può discutere, come sempre si può fare in economia che -
pur prevedendo il premio Nobel - non è una scienza esatta. Allo
stesso modo sarebbe un’omissione non accennare all’incapacità politica
dello stesso Berlusconi di riuscire a realizzare, nel tempo, tale
programma. Ma adesso non è questo il punto centrale. Lo è, invece, il
fatto che non stiamo di certo parlando dei temi cari a quelle
opposizioni (di sinistra, estrema sinistra, di centro, poteri forti)
che il monito della Bce hanno invece cavalcato come fosse loro. E
nemmeno a quella parte del governo la Lega- che di fronte a certe
esigenze di tagli di spesa non ha voluto saperne per mero calcolo
elettorale.
«Tornare allo spirito del 1994» è un tormentone quasi nostalgico che evoca l’entusiasmo riformatore e liberale che ha fatto stravincere a Berlusconi, con Forza Italia, le prime elezioni nelle quali si è misurato. È diventato un tormentone perché, nel pantano della politica, se ne è persa la forza propulsiva. Salvo cercare di rianimarla ogni qualvolta se ne sentiva la necessità. Per esempio di fronte alla stagnazione della crescita, inchiodata sotto l’1%,e che, combinata con il debito pubblico al 120% del Pil, ha creato le condizioni per mettere in difficoltà il nostro Paese sui mercati finanziari, come è accaduto questa estate.
Ebbene, da ieri sappiamo che
persino la Bce ha provato a riportarci allo «spirito del ’94».
Sia detto chiaramente, per una banca centrale quella lettera (al netto
delle tensioni continentali tra Germania e Mediterraneo) è quasi un
compitino obbligato, che si inserisce in una normale
dialettica tra un’istituzione tecnica di stampo federale che
individua interventi limite e un governo politico che cerca il
consenso per attuarli. «È la democrazia, bellezza », direbbe qualcuno.
E non c’è notizia. Tuttavia fa specie
leggere che, tra le misure per aumentare la crescita, Trichet e
Draghi indichino la «liberalizzazione dei servizi pubblici locali» e,
più avanti, «l’esigenza di riformare ulteriormente
il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo
accordi a livello d’impresa ». Mentre per quanto riguarda i tagli di
bilancio, si leggono raccomandazioni a «intervenire ulteriormente
nel sistema pensionistico » (con particolare riferimento ad anzianità
e alle donne) e a valutare «una riduzione significativa dei costi
del pubblico impiego ». Infine, letta e riletta, la lettera non fa mai
cenno all’aumento delle imposte, siano esse dirette o indirette.
Quindi, come la mettiamo? Prendiamo i servizi pubblici: qualcuno ricorda chi ha festeggiato la vittoria dei sì nei referendum abrogativi sulla privatizzazione dell’acqua del 12-13 giugno? Nel clima generale di spallata a questo governo, la festa era tutta a sinistra. Mentre a destra non sono mancate le posizioni (come Renata Polverini) conservatrici. E che dire della contrattazione aziendale e della flessibilità nel mondo del lavoro? Il governo ha trattato il tema nell’articolo 8 della manovra ( che mira a maggiore produttività permettendo deroghe di legge nei contratti aziendali) ricevendo in risposta uno sciopero generale da parte del sindacato e, addirittura, l’irritazione della Confindustria. E le pensioni? Su quelle è stata la stessa Lega, come noto, a porre il veto, costringendo Berlusconi alla manovra sull’Iva.
Che queste o altre misure siano quelle giuste per rilanciare il Paese non si può dire con certezza. Si vedrà. Ma almeno sia chiaro chi le vuole fare e chi no.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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