Un complotto contro l'America. Prendiamo in prestito il titolo del romanzo di Philip Roth per sottolineare come, mentre infiamma il dibattito per le presidenziali americane, non solo in Italia l'editoria (ri)pubblichi saggi e romanzi che contestano il sistema americano. Lo stesso Michel Houellebecq, massimo scrittore francese contemporaneo, in una intervista di tre giorni fa al quotidiano El Pais ha dichiarato che il vero «pericolo è che la Francia diventi come gli Stati Uniti» perché la paura è che «gli americani ci lascino esistere».
Non certo una novità nella storia della cultura francese tanto che Charles Baudelaire in Razzi nel 1857 scrive: «La meccanica ci avrà talmente americanizzati, il progresso avrà così bene atrofizzato in noi tutta la parte spirituale, che niente, fra le fantasticherie sanguinarie, sacrileghe, o anti-naturali degli utopisti, potrà venir paragonato ai suoi risultati positivi».
Da poche settimane nelle librerie italiane la casa editrice D ha pubblicato l'edizione critica de La società industriale e il suo futuro di Theodore J. Kaczynski, libro noto anche come «Il manifesto di Unabomber», l'uomo che per anni terrorizzò gli Stati Uniti spedendo letali pacchi bomba per protestare contro il modello egemonico del progresso Usa.
Questa la sintesi delle sue teorie: «Non ci facciamo illusioni sulla possibilità di creare una nuova società ideale, il nostro obiettivo è solo quello di distruggere quella esistente».
Il risultato? Tre morti e 23 feriti ma soprattutto migliaia di cittadini che si ispirano ai suoi scritti. Dal 1995 decine di attentati: tanto che l'FBI decise di cedere al ricatto di Unabomber ovvero far pubblicare il suo Manifesto sui due maggiori quotidiani americani: il New York Times e il Washington Post. Pochi mesi dopo la Jolly Roger Press di Berkeley lo pubblica in volume e in poche settimane raggiunge le vette dei bestseller americani.
Ma chi è Unabomber e perché ancora oggi affascina così tanti lettori nel mondo? Perché le stesse istituzioni l'hanno dapprima considerato un genio: nel 1962, all'età di solo 20 anni, si laurea ad Harvard, per poi subito diventare professore di matematica alla Università di Berkeley. I due atenei più prestigiosi negli Usa: una volta ottenuta la cattedra, riservata ai professori più geniali del mondo, si licenzia con una lettera di sole tre righe. Lascia la società che l'ha considerato un genio per escludersi dal mondo e vivere in una capanna di soli 11 mq a Lincoln, in Montana, dove vive senza elettricità e sopravvive grazie alla caccia. Lì nasce Unabomber. Il Manifesto si scaglia soprattutto contro gli uomini di sinistra, «poiché paradossalmente incapaci di comprendere le esigenze degli ultimi». «Professori universitari, attivisti e femministe», per lui «sono schiacciati da un senso di buonismo e superiorità»: «Le persone di sinistra del tipo sovra-socializzato cercano di liberarsi dal guinzaglio psicologico e asserire la loro autonomia attraverso la ribellione. Ma di solito non sono così forti da ribellarsi contro i valori più fondamentali della società. Gli obiettivi degli uomini della sinistra non sono in conflitto con la moralità accettata. Al contrario, la sinistra prende un principio morale accettato, lo adotta per suoi comodi, e quindi accusa la maggioranza della società di violare quel principio».
Il sociologo Neil Postman torna finalmente in libreria con Divertirsi da morire: pubblicato per la prima volta in Italia nel 1982, adottato come testo alla Cattolica, riedito da Baldini Castoldi e Marsilio, era stato dimenticato per anni. Oggi esce grazie alla Luiss University Press (pagg. 200, euro 16,9), con prefazione di Matteo Bittanti e traduzione di Leone Diena.
Postman - docente alla New York University per oltre quarant'anni, considerato tra i più importanti teorici dei media - analizzando la società politica americana scrive: «Oggi non c'è un Grande Fratello che, per sua scelta, guarda verso di noi. Siamo noi, per nostra scelta, a guardare verso di lui. Non c'è bisogno di carcerieri, cancelli, telecamere. Quando una popolazione è distratta da cose superficiali, quando la vita culturale è diventata un eterno circo di divertimenti, quando ogni serio discorso pubblico si trasforma in un balbettio infantile, quando un intero popolo si trasforma in spettatore e ogni pubblico affare in vaudeville, allora la nazione è in pericolo: la morte della cultura è chiaramente una possibilità».
Postman analizza come gli Stati Uniti siano colpevoli di esportare una democrazia falsa. Il problema vero non è che - attraverso piaceri cafoneschi imposti dagli Usa - «ridiamo anziché pensare, ma che non sappiamo più per che cosa ridiamo e perché abbiamo cessato di pensare».
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