Milano - «Non ti preoccupare, il bando lo faranno per noi». Eccola, la telefonata che rischia di inguaiare la giunta milanese di Giuliano Pisapia. È la conversazione avvenuta il 14 luglio del 2011 fra Vito Gamberale (amministratore delegato di F2i) e Mauro Maia (senior vice president del fondo), ora entrambi accusati dalla Procura di Milano di turbativa d’asta in relazione alla cessione da parte di Palazzo Marino del 29,75% di Sea, la società che gestisce gli aeroporti del capoluogo lombardo. Il dialogo è intercettato dalla Guardia di finanza di Firenze, impegnata in un’indagine su un’operazione autostradale in cui un ruolo è giocato proprio dal socio di Gamberale. Quel 14 luglio, però, i due parlano di Sea. E lo fanno in termini ritenuti «sospetti» dagli investigatori. Il brogliaccio viene trasmesso ai colleghi del Nucleo di polizia tributaria di Milano, che martedì su ordine del procuratore aggiunto Alfredo Robledo perquisiscono gli uffici del Comune e quelli del fondo di investimenti.
A chiamare, dunque, è Maia. Nel decreto di perquisizione firmato dalla Procura di Milano, si spiega genericamente che nel corso di quella telefonata «si fa riferimento alla possibile indicazione dal parte del Comune di Milano di una gara d’appalto per la cessione di partecipazioni azionarie nella Sea spa». Secondo quanto risulta al Giornale, Maia introduce l’argomento facendo il punto sui possibili contatti con la pubblica amministrazione. Gamberale, in sostanza, viene aggiornato sulla situazione, ma di nomi - politici o tecnici che potrebbero rappresentare un «gancio» all’interno di Palazzo Marino - non ne vengono fatti. «Ma allora, cosa dobbiamo fare?», chiede l’amministratore delegato di F2i. Maia - stando alle trascrizioni della Gdf - spiega per sommi capi i termini del bando, specificando poi che «chiederanno l’ingresso di un fondo». «Ma il fondo - domanda ancora Gamberale - come deve essere strutturato?». «Non ti preoccupare che ci entriamo - lo rassicura Maia - il bando lo faranno per noi». Insomma, il manager sembra sicuro del fatto suo. Troppo, secondo gli investigatori toscani. Che prendono quella conversazione e la spediscono a Milano, dove il fascicolo riposa per mesi, rimbalzando da un ufficio all’altro, senza che nessuno dia l’impressione di voler effettivamente affondare il piede sull’acceleratore dell’inchiesta. Fino alla svolta di due giorni fa, quando l’indagine esplode.
Perché qualcosa, in quell’operazione, sembra non tornare. Il sindaco Giuliano Pisapia e l’assessore al Bilancio Bruno Tabacci hanno sempre professato la massima trasparenza, mentre da F2i sono arrivate rassicurazioni sulla correttezza dell’offerta, sull’«ampio supporto dato agli organi delegati alla perquisizione», e sulla «disponibilità a collaborare a tutti gli approfondimenti del caso». Ma il fatto è che la telefonata da cui nasce l’indagine risale a luglio del 2011, mentre il bando del Comune di Milano sarà pubblicato solo quattro mesi più tardi, il 17 novembre. Cosa succede, in quel lasso di tempo? Al telefono, come scritto ieri dal Giornale, Maia dice che «hanno visto il documento». Di che documento si tratta? Chi lo ha visto? E quali rassicurazioni sarebbero state date al Fondo, che il 16 dicembre 2011 si aggiudica la gara come unico partecipante, offrendo solo un euro in più della base d’asta fissata a 385 milioni? Ancora, che ruolo ha il commercialista Andrea Minnelli, il cui ufficio è stato perquisito lunedì, e che nell’affaire Sea riceve un incarico non meglio specificato da Gamberale, a fronte del quale avrebbe percepito delle success fee (in pratica, un compenso a compravendita conclusa)? Il professionista - finito in passato in un’inchiesta della Procura di Bari per il crac della finanziaria ParFin, e in un’altra dei pm di Brescia riguardante la BiPop - ha lasciato lo studio per cui lavorava da due anni, ma all’ordine dei commercialisti di Milano non ha comunicato né il suo nuovo recapito, né la sua attuale attività. Che ultimamente - pare di capire dai decreti si perquisizione - è stata quella di lobbying per conto del fondo di investimenti.
Sono queste le domande a cui dovranno dare risposta gli inquirenti milanesi. Nelle carte sequestrate a Palazzo Marino e in F2i, dunque, si cerca una traccia che spieghi perché la vendita di Sea sembra essere stata un affare più per un portafoglio privato che per le casse pubbliche.
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