Si è aperto ufficialmente questa mattina l'evento dal titolo "Il Giornale 50 anni dopo". Presso gli IBM Studios Milano di Piazza Gae Aulenti 10 si conclude il lungo ciclo di dibattiti pubblici che hanno attraversato la prima metà dell'anno solare 2024 per celebrare il mezzo secolo di vita del quotidiano fondato dal grande Indro Montanelli il 25 giugno 1974. Tanti gli argomenti previsti nei vari panel della giornata. Il primo di questi si chiama "La scommessa della pace". Il direttore responsabile de Il Giornale, Alessandro Sallusti, ha salutato i lettori, ricordando come la prima edizione del quotidiano di cinquant'anni esatti fa potrebbe "tranquillamente essere pubblicata anche oggi, cambiando giusto qualche nome", visto che ieri, come oggi, si parlava di "instabilità politica, dei rapporti con gli Stati Uniti d'America e dei problemi in Africa".
I lavori sono cominciati infatti con un confronto moderato da Nicola Porro attorno a uno scenario geoeconomico e geopolitico difficile da decifrare: tra l'invasione russa dell'Ucraina, l'eterno conflitto tra arabi e israeliani, l'assalto strategico degli Huthi nel Mar Rosso e il destino di Taiwan come spada di Damocle sui destini umani. Secondo Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, "l'Europa è da più di cent'anni in Africa: prima con gli americani, ma non è successo nulla". Tuttavia il destino di quel continente "è il nostro destino" e bisogna "aiutarla a crescere affinché diventi come noi". Il vicedirettore del Giornale, Nicola Porro, lo sollecita sul Piano Mattei e l'amministratore di Eni è molto chiaro: "Questo progetto è sicuramente diverso da quello che è stato fatto fino ad adesso: c'è un cambio di paradigma per cui si faranno degli investimenti nel lungo termine per far crescere l'interlocutore e far sì che quel valore di energia possa ritornare a noi".
Giampiero Massolo, presidente Mundys, conferma il giudizio espresso da Descalzi: "Il piano Mattei è abbastanza innovativo: non si tratta più di occuparci dell'Africa quando i problemi arrivano in casa nostra, ma lo si fa per crescere insieme e comprendere che il suo progresso è il nostro progresso: farlo in chiave europea e renderlo globale, come è si è cominciato a fare nell'ultimo G7". Inoltre è stato importante anche il coinvolgimento delle aziende "perché gli Stati non possono investire da soli visto che ci sarebbe da spendere un occhio dalla testa". Certo, la concorrenza di Paesi autocratici come Russia e Cina in Africa non ci deve comunque "distogliere dall'esigenza di essere presenti, che non è un aiuto a fondo perduto, bensì "un intervento a medio termine".
"Noi da più di vent'anni cerchiamo gas in Africa, che all'epoca non si poteva importare - prosegue Descalzi -. Abbiamo creato là un vero e proprio mercato domestico: quello che sviluppiamo per la maggior parte va in Libia". Con il 70% del gas che rimane nel continente africano, "mentre il 30% lo trasferiamo a casa nostra". Ed è stata anche questo tipo di strategia ad avere contribuito a costruire un "piano B" dopo la fine dei rapporti con la Russia con lo scoppiare della guerra in Ucraina. Parlando delle tensioni in Russia, Israele, Iran e Taiwan, Massolo sottolinea noi "abbiamo a che fare con delle crisi che sono potenzialmente esistenziali", aggiunge Massolo. Tuttavia tutte queste crisi "non scalano mai in verticale, ma hanno dei fattori di mitigazione". Più rilevante per noi è il conflitto ucraino, che ci obbligherà "a ragionare in Europa in termini non più di collaborazione, bensì di contrapposizione".
Eni trova pozzi di gas ancora adesso, anche se naturalmente molto meno rispetto al passato. "I cinesi utilizzano il carbone per il 70% della produzione elettrica", afferma l'ad di Eni, anche perché sono più di un miliardo di persone. Questo significa che questa fonte fossile risulta ancora importante nonostante la crescita delle rinnovabili. Ma a quest'ultime, prosegue Descalzi, sono state le "tecnologie esclusive" con dei target specifici previste per tutti gli Stati, non comprendendo che bisognerebbe dare priorità a strumenti di transizioni già pronte - come i biocarburanti o la cattura della Co2 - che però in Europa sono state molto vessate. Secondo lui è giusto che ci siano delle tasse sulla Co2, "perché ti spinge a trovare tecnologie per ridurla, ma non è giusto che né la Cina, né l'India, né gli Usa hanno le tasse sulla Co2, però noi, come industriali europei, paghiamo tre volte tanto l'energia", dichiara con nettezza. "L'obiettivo è quello di non essere ideologici, basta raccontare menzogne", si accalora infine per la passione l'amministratore delegato di Eni.
Massolo conclude il panel parlando del futuro dell'Ue in vista della composizione della nuova Commissione. "In Europa ci sono due dinamiche diverse: quella del Parlamento europeo, dove va in atto un continuo aggregarsi e disgregarsi di maggioranze trasversali e occasionali, e poi c'è quella dei governi che comandano veramente loro con il Consiglio Ue". Quando un capo di stato e di governo si siede là, "uno può essere forte per l'istituzione che rappresenta, ma è anche portatore di quello che i suoi elettori gli hanno detto: e se sei uno come Macron, allora da questo punto di vista sei debole. Non ci sono più rendite di posizione nemmeno tra i governi e qua sta l'abilità dei vari leader: cercare geometrie di alleanze variabili dossier per dossier".
L'interesse nazionale si esercita in due modi: "O con il nostro potenziale di riccatto (bisogna essere o parte della soluzione o parte del problema, ma nessuna delle cuse) e il potenziale di coalizione grazie alle diverse co-interessenze".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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