"Svezia senza fumatori, ma Oms e Ue non seguono il suo esempio"

La Svezia, patria dello "snus", è ormai un Paese libero dal fumo. Abbiamo intervistato il prof Karl Fagerstrom, clinico di fama internazionale, per capire come ci sia riuscita. E per sapere se quel modello sia replicabile

"Svezia senza fumatori, ma Oms e Ue non seguono il suo esempio"

La Svezia è a un passo dal diventare un Paese smoke free. Libero dal fumo. Cosa significhi questo in termini di salute pubblica è persino superfluo spiegarlo: le ricadute positive sono infatti evidenti e ben codificate dai numeri. La percentuale di fumatori nella nazione scandinava è solamente del 5,6%, dato peraltro destinato ad abbassarsi ulteriormente e a tagliare così il risolutivo traguardo dell'eliminazione del fumo, fissato dalle autorità sanitarie alla soglia del 5%. Come il Paese sia arrivato a questa condizione ce lo ha spiegato il professor Karl Fagerström, psicologo clinico ed esperto di fama internazionale nella ricerca sulle dipendenze e sulla cessazione del fumo. "In Svezia la migliore alternativa senza combustione alle tradizionali sigarette è lo snus", dice. Si tratta di piccoli sacchetti di polvere di tabacco che vengono posizionati sotto il labbro superiore, a contatto con la gengiva, consentendo l'assorbimento di nicotina. In tutta l'Unione Europea la vendita di questo prodotto è stata vietata dal 1992 con motivazioni ancora oggi ritenute controverse, a maggior ragione alla luce dei dati più che incoraggianti provenienti dalla Svezia.

Negli ultimi mesi, tuttavia, sugli scaffali delle tabaccherie italiane hanno fanno la loro comparsa le Nicotine pouch, bustine di nicotina che rappresentano un'alternativa legale al prodotto tradizionale svedese. Si tratta, per il nostro Paese, di una nuova categoria di prodotto, la cui regolamentazione ha richiesto un lungo processo che in parte è tutt'ora in corso. Nel confronto con Fagerström, che abbiamo incontrato a Stoccolma, abbiamo cercato di approfondire il tema della lotta al fumo in tutte le sue sfaccettature, proprio a partire dai numeri del paradigma svedese.

Professore, qual è il segreto di questo modello?

"La questione è articolata e i dati positivi della Svezia sono il risultato di diversi fattori. Storicamente, questo Paese non ha subito gli effetti delle guerre mondiali, quando le sigarette avevano una diffusione molto alta. Poi ci sono fattori culturali: lo snus fa parte della tradizione svedese e ancora oggi chi fuma le sigarette tradizionali percepisce una certa pressione sociale anche rispetto alla nocività del fumo passivo. Politicamente, poi, l’attuale governo di Stoccolma ha scelto la strada della trasparenza, evitando di tassare oltremodo i prodotti alternativi alle sigarette combuste, come appunto lo snus. Questo significa ridurre il rischio. Oms e Ue adottano invece un approccio opposto: lo snus è stato bannato sin dall’inizio, sebbene la Food and Drug Administration dica che è un prodotto a basso rischio".

I report scientifici offrono dati molto chiari. Perché questo approccio non sembra ricevere la dovuta attenzione?

"Domanda interessante. La cattiva reputazione che l’industria del tabacco si è guadagnata nei passati decenni ha in parte inciso, creando un pregiudizio negativo. Infatti, persistono ancora preconcetti sugli studi prodotti da scienziati che fanno ricerca per quel mondo e che pertanto non sono ritenuti validi. Ma non è così. I numeri parlano chiaramente, sono comprovati e provengono da scienziati indipendenti. Il pregiudizio non dovrebbe contaminare le analisi della scienza".

A suo avviso, il modello svedese è esportabile anche in Italia?

"Sì, certo. Serve tempo per stimolare il cambiamento culturale ma il passaggio va facilitato, perché può aiutare a salvare molte vite. Questi prodotti senza combustione devono essere accettati e non demonizzati a prescindere".

L'Oms però frena sull'adozione dei prodotti senza combustione, equiparandoli alle sigarette tradizionali. Come mai?

"Questo è molto frustrante. L’Oms era autorevole vent’anni fa, oggi è piena di conflitti d’interesse. Le pressioni, in questo caso, arrivano soprattutto da chi la finanza: Ong contrarie al mondo del tabacco, network importanti come Bloomberg e governi che hanno forti interessi nel mercato delle sigarette combuste. La Cina ha una grande forza e penso abbia una grande influenza. Così governi e ministri della salute aumentano le tasse sullo snus e diminuiscono quelle sulle sigarette. Non sono dipendenti dalla nicotina ma dai soldi. L’Oms è un problema che non saprei proprio come superare".

All’indomani del voto europeo, crede che qualcosa possa cambiare nell’approccio della politica a questo tema?

"Su questo argomento si è dibattuto molte volte. Ma purtroppo c’è un prestigio che la classe politica vuole mantenere rispetto a certe decisioni e che è considerato più importante della salute dei cittadini".

I livelli di tassazione quanto possono incidere sui consumi e quindi sulla salute?

"La tassazione ha un effetto diretto sul consumo, perché indirizza verso questo o quel prodotto.

In Svezia lo Snus è tassato meno e il governo ha invece alzato le tasse sulle sigarette tradizionali, che sono dannose. Se al contrario qualcuno pensasse di alzare le tasse sui prodotti senza combustione, dovrebbe porsi anche un dilemma etico: meglio le tasse o la salute delle persone?"

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