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Occhio al "Social jet lag", di cosa si tratta e perché può avere risvolti dannosi per il nostro organismo

Il disturbo, provocato da una scorretta distribuzione delle ore di sonno è diffuso in particolar modo tra gli adolescenti

Occhio al "Social jet lag", di cosa si tratta e perché può avere risvolti dannosi per il nostro organismo
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Si tratta di un fenomeno in rapido aumento negli ultimi anni, ed è causato da una distribuzione non corretta del tempo da dedicare al riposo assoluto: solitamente si viene a configurare quando si ha l'abitudine di restare svegli fino a tardi, spesso per chattare o utilizzare i social nelle ore in cui si dovrebbe dormire, per recuperare magari nel fine settimana sottoponendo l'organismo a un'overdose di sonno talvolta neppure sufficiente. Ci troviamo davanti al cosiddetto "Social jet lag", termine ideato nel 2006 dal ricercatore tedesco Till Roennenberg per definire questo disturbo, particolarmente diffuso tra gli adolescenti.

Orologio biologico sballato

"Si tratta di un disallineamento tra l'orologio biologico endogeno (localizzato a livello cerebrale) e l'orologio sociale, che detta gli orari e il ritmo della nostra vita", spiega a Il Corriere il neurologo e docente presso il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Genova Sergio Garbarino, membro dell'Accademia Italiana di Medicina del sonno. Finché quest'abitudine scorretta si segue nei weekend, in un modo o nell'altro il recupero è possibile: andare a dormire a notte inoltrata e svegliarsi tardi rieliquilibra le ore di sonno, per quanto distribuite in modo scorretto per il nostro orologio biologico.

I problemi più gravi si riscontrano nei giorni feriali, quando le ore di sonno in meno pesano in modo considerevole sulle attività quotidiane, sia che si tratti di studio che di lavoro. Inevitabilmente sul ciclo sonno-veglia le ore di veglia influiscono sulla nostra reattività, causando sonnolenza e stanchezza, così come il cosiddetto ritmo circadiano, ovvero l'orologio biologico del nostro organismo.

"Si chiama social jet lag perché i nostri stili di vita sono influenzati dagli orari imposti dalla società, per gli adulti soprattutto il lavoro, per i ragazzi la scuola", precisa l'esperto: il problema è che la nostra vita quotidiana rispetto al passato ha ampiamente deragliato rispetto ai binari che un tempo si seguivano, ovvero la distribuzione regolare dei pasti e l'alternanza luce solare-buio. "Abbiamo invaso le ore notturne, quelle del sonno, e non ascoltiamo più il nostro orologio biologico endogeno: questa condizione forzata ci porta a uno sfasamento a lungo termine, che non riguarda un giorno o due, ma settimane, anni", considera il dottor Garbarino.

Generalmentre la ciambella di salvataggio è rappresentata dai fine settimana, spesso però solo in teoria. "Il giovane vuole vivere il fine settimana, le abitudini sociali diventano prevalenti e difficilmente se ne scostano": in poche parole il recupero così non è possibile, soprattutto negli adolescenti, cha avrebbero mediamente bisongo di circa 2 ore in più di sonno rispetto agli adulti. "Il social jet lag nei giovani è strettamente connesso all’uso dei dispostivi digitali e al tempo trascorso sui social media, come mostra un recente studio fatto in Corea del Sud" spiega ancora il neurologo.

I pericoli

Una volta raggiunta la maturazione cerebrale, il cervello dell'adulto può subire conseguenze più lievi, "mentre nell’adolescente possono esserci degli effetti più rilevanti a livello cognitivo-comportamentale, perché il completo assetto del network neurale cerebrale avviene tra i 20 e i 25 anni". Nei casi più gravi ai deficit cognitivi possono aggiungersi disturbi mentali, come ansia, attacchi di panico o sintomi depressivi: "Il social jet lag va considerato nell’ottica di una società di deprivati cronici di sonno che prima era tipica dell’adulto e adesso include pesantemente gli adolescenti".

A subire conseguenze è anche la produzione di melatonina, descritta dall'esperto come un direttore d'orchestra che armonizza le strutture che calibrano e regolano le attività del nostro cervello, ovvero "un fattore circadiano dato dall’orologio biologico 'master clock', un fattore omeostatico, cioè vale a dire che andiamo a dormire in base all’ora in cui ci alziamo, e un altrettanto importante fattore di regolazione, quello psicosociale". Ecco, la melatonina presiede a questi meccanismi: si tratta di un neuromodulatore che viene prodotto quando cala la luce del sole e opera quindi al buio. Ecco perché esporsi costantemente alla luce blu prodotta dai dispositivi elettronici in ore che dovrebbero essere deputate al sonno ostacola la sua produzione.

"Viene secreta intorno alle 23, anche se ci sono delle ampie varietà individuali, ma normalmente il picco si raggiunge tra l’1 e le 2 di notte", precisa il dottor Garbarino: in sostanza il cervello non ha più elementi per comprendere quando può riposare, e da qui derivano tutte le conseguenze come la stanchezza, le difficoltà di concentrazione e addirittura disturbi

mentali. L'unico modo per uscire dal loop è quello di dare un taglio a queste abitudini errate e regolamentare l'utilizzo dei dispositivi elettronici, attenendosi alle "regole del buon sonno".

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