Se vi siete fatti convincere dal bel tempo ed avete ignorato il weekend di Serie A non avete idea di cosa vi siete persi. Si fa prima a dire cosa non è successo nella 32a giornata del massimo campionato italiano, dato che ne sono viste davvero di tutti i colori. Di cosa sto parlando? Di una serie di pareggi mai visti da qualche mese a questa parte, della prova d’orgoglio di un grande maestro del calcio italiano, di due giocatori che saranno rimpianti a lungo, una grande che perde la testa per rifarsi nel finale e la dolce vendetta di un giocatore scaricato troppo presto. Ah, già, c’è anche stato un momento da brivido in campo e la prima battuta d’arresto della capolista, giusto per gradire. Vi raccontiamo il meglio e il peggio del fine settimana della Serie A nel nostro solito pagellone del lunedì. Buona lettura.
Il capolavoro di Ranieri (8)
Se dovessi aggiungere una legge immutabile al libro delle regole del calcio mi permetterei di consigliare la seguente: “mai dare per morte le squadre di Ranieri”. Il tecnico romano sembra passare senza soluzione di continuità dalle stelle alle stalle, forse perché non è mai voluto piacere alla gente che piace ma in una cosa è maestro assoluto: motivare qualsiasi gruppo abbia a disposizione. La personalità e sfacciataggine necessaria per una squadra come il Cagliari, che molti avevano già dato in Serie B in autunno, è veramente fuori dell’ordinario ed è tutta farina dal sacco di Sor Claudio. Quanto più è grande la differenza in termini di talento, tanto più determinati e coraggiosi devono essere i giocatori in campo. L’essenza del “ranierismo” si potrebbe riassumere in queste poche parole e, per quanto hanno mostrato al Meazza, il Cagliari si sarebbe pure meritato che il colpo di testa di Viola entrasse in porta.
L’iniezione di morale e consapevolezza che dà questo pareggio contro i prossimi campioni d’Italia vale molto più del punto in classifica e potrebbe fare tutta la differenza del mondo a fine stagione. Non tutto è stato perfetto; il rigore concesso da Mina è un errore inspiegabile per un giocatore della sua esperienza mentre l’errore di Hatzidiakos su Thuram poteva costare molto caro. Il resto della banda Ranieri è da applausi in quanto a garra e consistenza: Makoumbou regge l’impatto con la mediana migliore d’Italia, Di Pardo recupera palloni su palloni mentre Obert domina di testa. Le trasformazioni più impressionanti sono quelle di Luvumbo e Shomurodov, che ha tirato più volte in porta di quanto fatto con la maglia della Roma. Ranieri, poi, indovina i cambi giusti: se Lapadula, braccio a parte, fa il suo, Viola si conferma uomo in più dalla panchina, segnando il pari e sfiorando per due volte il 3-2. Non è dato sapere come finirà la stagione dei sardi ma una cosa è certa: la banda Ranieri si batterà fino all’ultimo secondo col coltello tra i denti.
Lazio, che perdita Felipe e Luis! (6,5)
Possibile essere depressi anche dopo una vittoria sonante come quella di venerdì sera all’Olimpico? Evidentemente sì, specialmente dopo i due addii a stretto giro di posta che rischiano di mandare già in crisi il progetto di Tudor. Dopo le prove clamorose messe contro la derelitta Salernitana, difficile immaginare come la Lazio potrà fare a meno sia di Felipe Anderson che di Luis Alberto. A parte gli ultimi minuti promettenti del giovane Isaksen, che mette davvero un bel gol, i due centrocampisti sono chiaramente i migliori tra le Aquile, mettendo in discesa una partita che, con le scorie del derby, poteva diventare molto complicata.
I segnali positivi non mancano; Marusic non è devastante come qualche settimana fa ma fa sempre il suo mentre Kamada se la cava meglio davanti alla difesa, aiutato da un Vecino in buona condizione. Lazzari ci mette un po’ ad abituarsi alla nuova posizione mentre Castellanos collabora bene coi compagni di reparto ma senza le prove dei due fantasisti l’undici di Tudor avrebbe faticato molto di più. Il brasiliano sembra rifiorire più avanzato ed approfitta al meglio delle fiammate abbacinanti dello spagnolo, che quando si decide a giocare è devastante. I fischi dell’Olimpico a Felipe Anderson sono il segno di una sofferenza molto reale: senza queste due stelle, Tudor dovrà ripartire da zero. Cosa mai semplice in una società sparagnina come la Lazio…
Roma, giusto così ma che rischio! (6)
Fa un po’ strano parlare di calcio in una partita nel quale a fare notizia è stato il malore di Evan Ndicka ma nei 72 minuti si erano viste comunque cose interessanti. Prima di tutto, però, affrontiamo l’elefante nella stanza: la decisione di De Rossi e della società è stata del tutto giustificata, nonché coraggiosa. Ogni volta che un giocatore cade a terra per un dolore al petto, la memoria di tutti va a Christian Eriksen e l’infortunio agli Europei che l’aveva costretto a lasciare la Serie A. Quando De Rossi è uscito dallo spogliatoio, la sensazione era che Ndicka avesse avuto un infarto e che la situazione sarebbe potuta precipitare. Giocare in condizioni del genere sarebbe stato onestamente impossibile per i giallorossi. Ora che le notizie in arrivo dall’ospedale sembrano rassicuranti si può tornare a parlare di quanto si era visto in quei 72 minuti di calcio in Friuli.
Le scorie della battaglia di Europa League si erano fatte sentire, specialmente dal punto di vista della determinazione. La Roma si era fatta mettere sotto da un’Udinese decisa a battersi per uscire dalla lotta per la retrocessione. Se tutti giustamente se la prenderanno sull’erroraccio di Huijsen che ha spalancato a Pereyra un’autostrada, tutta la Roma non aveva l’atteggiamento giusto. Considerato che tutte le rivali erano incappate in passi falsi, una mancanza mentale inusitata per una squadra che, dall’arrivo di De Rossi, è stata solidissima in questo fondamentale. Le cose erano migliorate parecchio nella ripresa, specialmente dopo l’ingresso di Dybala e la determinazione di Lukaku nel portare a casa la vittoria. Probabile che nei rimanenti 20 minuti e spiccioli i giallorossi riescano a piegare l’Udinese ma è un segnale preoccupante. Giovedì col Milan bisognerà gettarsi tutto alle spalle in fretta.
Inter, la fame non c’è più (5,5)
Alla fine, dopo un’attesa lunga mesi, la battuta d’arresto della capolista è arrivata proprio quando nessuno se l’aspettava. Dopo una serie di risultati che sembrava fatta apposta per consegnare all’Inter la seconda stella in anticipo, ecco il finale che regala qualche grammo di speranza alle rivali. Si potrà discutere a lungo su quel controllo di braccio di Lapadula sul gol del pareggio ma la partita aveva già detto alcune cose sullo stato della schiacciasassi nerazzurra. Se la banda Inzaghi ha costruito le sue fortune su una difesa a prova di bomba, stavolta è proprio la retroguardia a tradire il tecnico piacentino. A parte un incolpevole Sommer, si salvano forse Bastoni e Darmian mentre le prove di Bisseck ed Acerbi sono da bollino nero. La cosa, di per sé, può starci, ma che siano proprio due dei protagonisti della trionfale stagione della Beneamata a fare flop nella stessa serata è un segnale da non trascurare.
La mediana vede l’immarcescibile Calhanoglu, un Mkhitaryan in recupero e un Barella che evapora stranamente nell’ultima mezz’ora. L’osservato speciale di questa sera, quell’Alexis Sanchez che aveva il compito di prendere il posto del Toro, non tradisce le aspettative e mette un assist e un quasi gol di testa. Thuram, invece, sceglie la serata migliore per tornare al gol dopo quasi due mesi per poi non combinare niente nella ripresa. Un caso? Non direi. Come dimostra l’ingresso di Frattesi, che si guadagna il rigore nel giro di pochi minuti, a questa Inter iniziano a mancare le motivazioni e la fame agonistica. In questo momento della stagione, con l’unico obiettivo rimasto praticamente già in tasca, anche un tecnico esperto come Inzaghi fatica a caricare adeguatamente giocatori con la testa già agli Europei. La differenza con l’undici di Ranieri, che da mezza stagione lotta coi denti per rimanere in Serie A, non poteva essere più evidente. E meno male che al 94’ Sommer ha tolto di porta il gol della beffa di Viola. Lunedì prossimo l’Inter potrà laurearsi campione in casa dei cugini. E questa, come motivazione, è difficile da battere.
Bologna, problemi in paradiso? (5,5)
Una delle grandi ingiustizie del calcio è come gran parte dei tifosi non riesca ad esprimere valutazioni oggettive, andare oltre al risultato. Dopo il secondo pareggio a reti bianche della banda di Thiago Motta, molti sono pronti a gettare la croce sull’allenatore italo-brasiliano, dicendo che la “bolla” Bologna è scoppiata. Gli spettatori del Dall’Ara hanno avuto un’impressione molto diversa. Certo, la manovra dei rossoblu non è così corale come qualche settimana fa ma con un pizzico di concretezza in più davanti alla porta ed un Di Gregorio non in versione Dida i tre punti sarebbero potuti arrivare senza grossi problemi.
In realtà tra i felsinei le insufficienze sono davvero poche: se in difesa solo Kristiansen non è al massimo, Freuler brilla sulla mediana, compensando le partite opache di Urbanski ed Aebischer. Il fatto è che Ferguson e Ndoye sono limitati alla grande dalla difesa monzese. Nonostante l’aiuto di un Lucumi convincente, Orsolini è l’unico a scompaginare le carte. Nel primo tempo era ovunque, impegnando più volte un Di Gregorio maestoso, per poi diventare più impreciso nella ripresa. Con uno Zirkzee all’insegna del “vorrei ma non posso”, verrebbe da chiedersi perché lo scattante Fabbian sia rimasto in panchina. Il Bologna potrà ancora dire la sua nella corsa Champions ma, forse, le troppe chiacchiere stanno iniziando ad avere i propri effetti. Meglio intervenire subito.
Questo Milan è troppo pazzo (5)
Alzi la mano chi, dopo i primi dieci minuti da incubo al Mapei Stadium, si sarebbe aspettato che il Diavolo sarebbe tornato da Reggio Emilia con un punto. Iniziare così una otto giorni da film dell’orrore è un qualcosa di quasi impensabile, frutto di un lavoro fortemente deficitario da parte del tecnico. Il bello è che, nonostante due gol in dieci minuti, cosa che non succedeva dal 2017, il Milan non ha mai smesso di creare occasioni, mettendo in costante allarme la difesa neroverde. Quando si sprecano così tante chances, difficile tornare a casa coi tre punti. Sorpresa in negativo la difesa, solitamente punto di forza dei rossoneri: se Sportiello fa rimpiangere Maignan, Kjaer e Florenzi sono disastrosi mentre Thiaw è nervoso e troppo falloso. Quando entra in campo Gabbia le cose cambiano tantissimo, ennesima dimostrazione di quanto sia fondamentale per questo Milan.
Altrettanto deficitaria la mediana, con Adli e Musah che soffrono maledettamente la pressione e sbagliano passaggi su passaggi: ci vuole l’ingresso di Reijnders per riportare ordine ed approfittare degli spazi concessi dagli emiliani. Sulla destra Chukwueze fa le buche come al solito ma è punito due volte dal Var mentre Pulisic si conferma in grado di fornire spinta, grinta e tanta qualità in avanti. L’intuizione giusta di Pioli è sostituire un impreciso Loftus-Cheek con Giroud doppia punta, decisivo sul gol del pareggio ed inserire negli ultimi dieci minuti Noah Okafor, che, chissà come, si trova sempre al posto giusto al momento giusto. Aggiungi i lampi abbacinanti di Leao, praticamente immarcabile ed un Jovic che, quando ha più spazio dopo l’ingresso di Giroud, dimostra di non aver perso il vizio del gol e ti rendi conto perché questi due punti persi gridano vendetta al Cielo. Il Milan ha qualità e carattere sufficienti per chiudere senza problemi partite del genere: con la Roma errori del genere costeranno carissimo.
Juve, perché solo un tempo? (5)
Aspettarsi che un derby della Mole iniziato con gli inqualificabili striscioni degli ultras a Superga diventasse una bella partita era forse eccessivo ma l’ennesima prova opaca della banda Allegri all’Olimpico Grande Torino ha sparso sale sulle ferite di una tifoseria sul piede di guerra. Il bello è che, senza un paio di parate di Szczesny, l’undici di Juric avrebbe potuto portarsi a casa tre punti senza rubare niente. Per l’ennesima volta, i bianconeri fanno seguire ad un primo tempo quasi brillante una ripresa da dimenticare, messi sotto da un Toro che sembrava aver visto la muleta rossa. Le uniche note positive vengono, come al solito, da Danilo e dall’ex Bremer, sogno nemmeno troppo proibito di diverse grandi d’Europa.
Il resto è una sofferenza senza fine: a parte il solido McKennie, Cambiaso e Locatelli faticano parecchio, con l’ex milanista che cestina una chiarissima occasione da gol nel primo tempo. Rabiot sembra tornato a nascondersi, magari ingolosito da offerte in arrivo dall’estero mentre Kostic contribuisce poco in avanti. Chiesa illude i fedelissimi della Juve con una prima mezz’ora da applausi per poi essere quasi dimenticato dai compagni, chissà per quale ragione. Tutti sono pronti a prendersela con quel Vlahovic che ha sprecato due occasioni gigantesche ma è sicuramente più grave il fatto che da quel momento non abbia combinato più niente. La cosa più preoccupante è che né Iling-Junior né Yildiz riescano a dare la scossa ad una squadra che aveva già tirato i remi in barca. Alla fine rimane la domanda delle mille pistole: possibile che la Juventus riesca a giocare solo un tempo? Ditemi voi che davvero non so più che inventarmi...
Napoli, la vendetta di Cheddira (4,5)
Immagino che sotto il Vesuvio non si veda l’ora che questa stagione disgraziata arrivi alla sua triste fine. La “sbornia scudetto” ha avuto conseguenze davvero inaudite, tanto da trasformare una macchina perfetta in una specie di macchietta che non fa ridere nessuno. Il pareggio casalingo rimediato nel lunch match della domenica fa male, specialmente perché arriva dai piedi di quel talento che Garcia aveva voluto spedire in quel di Frosinone. I gol dell’ex sono stati in questo caso due ed hanno il dolce sapore della vendetta servita fredda. Cheddira ha fatto passare 90 minuti da incubo a Rrahmani e Mario Rui, che si becca anche un rosso, tanto per gradire. Calzona conferma di non sapere che pesci prendere con la difesa, nota dolentissima di questo finale di stagione e deve ringraziare Meret per aver evitato il tracollo.
Il resto è una serie di prestazioni mediocri, da Di Lorenzo ad Ostigard, da Anguissa fino a Lobotka e Zielinski che si spengono nella ripresa dopo un buon primo tempo. In avanti, paradossalmente, le cose sembrano finalmente funzionare: Politano fa il bello e il cattivo tempo fino a quando non finisce la benzina, Osimhen non solo segna ma collabora bene coi compagni. Il caso Kvaratskhelia è singolare: passa 45 minuti avulso dal gioco per accendersi nel finale, quando però il resto della squadra non ne ha più. Si potrebbe pensare che Calzona abbia ritardato troppo l’ingresso di Cajuste e Raspadori, che ha una gran voglia di farsi vedere da Spalletti ma il tecnico partenopeo ha ben altre cose da farsi perdonare.
Il suo Napoli sembra smarrito ogni volta che c’è un cooling break ed è in confusione totale quando viene aggredito. Anche se la Champions rischia di rimanere un sogno, la tifoseria si merita almeno un finale di stagione dignitoso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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