"Ho portato Elena a morire in Svizzera". Cappato si autodenuncia

Cappato ora rischia 12 anni di carcere: la donna non era tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale quindi non rientra tra i casi contemplati dalla Corte Costituzionale in tema di suicidio medicalmente assistito

"Ho portato Elena a morire in Svizzera". Cappato si autodenuncia

Questa volta Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, rischia fino a 12 anni di carcere per aver portato Elena, 69 anni, a morire in Svizzera. La donna non era infatti tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale. Cappato si è autodenunciato poco dopo le 11 a Milano, presso la caserma dei carabinieri di via Fosse Ardeatine. Ieri sulla sua pagina Twitter aveva annunciato di trovarsi in Svizzera per aiutare una signora veneta che lo aveva contattato, Elena, a poter accedere legalmente al suicidio assistito. La donna, originaria di Spinea, nel Veneziano, era affetta da una importante patologia oncologica polmonare irreversibile con metastasi.

La decisione di autodenunciarsi

In una clinica elvetica di Basilea, Elena ha portato a termine la sua volontà, accompagnata appunto da Cappato, assistito dall'avvocato Filomena Gallo, segretaria nazionale dell'Associazione Coscione. “Domattina a Milano mi autodenuncerò per l'aiuto che ho fornito alla signora Elena, che ha scelto di interrompere le proprie sofferenze. In Svizzera è legale. In Italia rischio 12 anni di carcere”, ha twittato ieri Cappato. La 69enne aveva ricevuto la diagnosi di microcitoma polmonare all’inizio del luglio 2021. Fin da subito i medici le avevano detto che avrebbe avuto poche possibilità di uscirne viva. Dopo vari tentativi di cure le era stato comunicato che c'erano ancora pochi mesi di sopravvivenza e che la situazione sarebbe diventata con il tempo sempre più pesante. Da lì la decisione estrema di farla finita. La 69enne in un video messaggio ha spiegato: “Mi sono trovata davanti a un bivio. Una strada più lunga che mi avrebbe portato all'inferno, una più breve che poteva portarmi qui in Svizzera, a Basilea: ho scelto la seconda. Avrei sicuramente preferito finire la mia vita nel mio letto, nella mia casa tenendo la mano di mia figlia e la mano di mio marito. Purtroppo questo non è stato possibile e, quindi, sono dovuta venire qui da sola".

Perché rischia fino a 12 anni di carcere

Cappato si è autodenunciato in caserma per il reato di aiuto al suicidio, una fattispecie prevista dall'articolo 580 del codice penale che prevede pene che possono raggiungere anche i 12 anni di reclusione. Il caso di Elena non rientra tra quelli contemplati dalla Corte Costituzionale in tema di suicidio medicalmente assistito, perché la donna non era tenuta ‘in vita da trattamenti di sostegno vitale’. Si tratta di uno dei quattro elementi previsti dalla sentenza, la 242 del 2019, dalla Consulta sul caso Cappato\Dj Fabo per l'accesso alla tecnica in Italia. Un caso diverso rispetto ai due precedenti di Dj Fabo e di Davide Trentini. Quindi, dal punto di vista giudiziario, l'autodenuncia di Cappato andrà a finire all’attenzione dell'ufficio primi atti della Procura di Milano e, nelle prossime settimane, i pubblici ministeri milanesi potrebbero formalmente aprire un fascicolo di indagine.

Gli altri casi

Il caso della signora Elena rimanda a quello di Stefano Gheller, il 49enne di Cassola affetto fin dalla nascita da una grave forma di distrofia muscolare e per questo costretto su una sedia a rotelle. Nelle scorse settimane l’uomo aveva chiesto di attivare con urgenza la procedura prevista per l'accesso legale al suicidio medicalmente assistito. Lo scorso 15 luglio Gheller aveva incontrato Cappato perché voleva seguire la strada di Federico "Mario" Carboni che poche settimane fa era stato accompagnato a una ‘dolce morte’ dopo aver ottenuto il via libera da parte del Comitato etico dell'Azienda sanitaria delle Marche.

Iter ancora in corso, invece, quello di Antonio, 44enne paziente marchigiano tetraplegico dal 2014. Anche lui ha intrapreso l’iter giudiziario per vedere riconosciuto il diritto. L'11 luglio ha ricevuto gli esiti delle verifiche effettuate dalla Commissione medica istituita presso l'Asur Marche. Nel documento viene spiegato che l'uomo "possiede tutti i requisiti per accedere al suicidio assistito" ma manca il parere sul tipo di farmaco da utilizzare.

In mancanza di questa indicazione, oggetto specifico sia della sentenza costituzionale sia dell'ordinanza del Tribunale di Fermo che ha riconosciuto il dovere dell'Azienda sanitaria di procedere alle verifiche, il percorso si interrompe.

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