"Io, avvocato, vi dico perché Daniele non doveva stare col padre"

Davide Paitoni aveva ottenuto l'autorizzazione per fare visita al figlio Daniele nonostante fosse ai domiciliari per aver aggredito un collega e fosse stato denunciato per maltrattamenti dalla ex moglie

"Io, avvocato, vi dico perché Daniele non doveva stare col padre"

È trascorsa una settimana dalla tragedia di Morazzone, il dramma familiare che si è consumato nel Varesotto la sera di San Silvestro. Il piccolo Daniele, di soli 7 anni, è stato ucciso con una fendente alla gola dal papà, Davide Paitoni, che ha poi tentato di accoltellare anche la madre del bimbo, Silvia. Secondo il pm che ha ordinato il fermo del 40enne con l'ipotesi di reato per omicidio e tentato omicidio, Paitoni avrebbe attuato "una ritorsione nei confronti dell'ex moglie" con la quale era in fase di separazione da circa un anno e mezzo.

Al netto della dinamica delittuosa, già ampiamente accertata dalle indagini, restano ancora molti punti oscuri e nodi da sbrogliare. Dallo scorso 29 novembre Paitoni era agli arresti domiciliari per aver aggredito un collega di lavoro. Inoltre, tra aprile e marzo del 2021, la moglie lo aveva denunciato per maltrattamenti e lesioni. Ciononostante, lo scorso 6 dicembre, il gip ha autorizzato il 40enne a incontrare moglie e figlio. "L'ordinanza per i domiciliari è stata firmata avallando la misura richiesta dal magistrato, che l’ha motivata con il pericolo di inquinamento probatorio, non con la pericolosità sociale, e il giudice non può aggravare la richiesta del pm", ha chiarito Renato Tacconi, presidente del tribunale di Varese. La procura invece sostiene di aver contestato al giudice delle indagini preliminari la pericolosità sociale di Paitoni.

Sulla vicenda, che ha sollevato numerose polemiche, è intervenuta anche il ministro Marta Cartabia che ha chiesto "accertamenti urgenti" sui fatti. "La vicenda di Morazzone è – temo – l’ennesima prova del fatto che in Italia abbiamo ottime leggi ma spesso vengono applicate con ritardo, in questo caso assolutamente ingiustificabile. Quest’uomo si trovava in una condizione personale e giudiziaria molto peculiare: un’accusa di tentato omicidio sulla testa e mesi di arresti domiciliari alle spalle. Due elementi che dovevano far prendere in seria considerazione che psicologicamente non fosse in equilibrio", spiega alla redazione de ilGiornale.it l'avvocato Alessia Sorgato, esperta in difesa penale di vittime di violenza.

Avvocato Sorgato, a parer suo, qual è il nodo di questa vicenda?

"Se parliamo del nodo umano, è chiaro a tutti noi che siamo al cospetto di una tragedia di proporzioni enormi. C’è un padre che ha ucciso un figlioletto di 7 anni, e poco francamente deve importarci del motivo per cui l’abbia fatto. Ha commesso un atto contro natura e un gravissimo delitto, uno dei più gravi che il codice penale contempli".

Cosa non ha funzionato nella "macchina della giustizia"?

"Se parliamo del nodo giuridico, e questo è il mio compito in quanto avvocato penalista specializzata in difesa di vittime di violenze endo-famigliari, pur non conoscendo gli atti e sulla base delle sole notizie di stampa, collocherei il nucleo della questione sul mancato raccordo tra inquirenti, forze di polizia, assistenti sociali e magistrati coinvolti nella trattazione della vicenda".

Pare che Silvia, la madre del bimbo, avesse denunciato l'ex marito per maltrattamenti e lesioni. Perché il giudice non ne ha tenuto conto?

"Per rispondere a questa domanda, bisognerebbe porsene altre, purtroppo: da quanto tempo erano state depositate le denunce? Con quanta accuratezza erano stati descritti fatti, episodi, precedenti aggressioni, minacce e quant’altro valga a mettere in allarme? C’è stato il necessario coordinamento tra le varie competenze ripartite che devono lavorare congiuntamente in tutti i casi di separazioni in cui si sospetti, o si sappia, l’avvenuta commissione di maltrattamenti e/o atti persecutori? Ovviamente la mamma del piccolo Davide aveva compiuto ogni azione giudiziaria per preservare se stessa e il figlio, ma quanto tempestivamente è stata ascoltata?".

E quindi come spiega la decisione del gip di autorizzare gli incontri tra Paitoni e il figlio?

"Se l’autorizzazione è arrivata dal giudice civile (come accade durante il procedimento di separazione), bisognerà capire quanto questo magistrato sapesse delle parallele vicende penali, e soprattutto se potesse ipotizzare connessioni di rischio tra l’accaduto col collega di lavoro del prevenuto e la condotta tenuta in ambito famigliare. Molto spesso infatti i padri separati tengono un comportamento ineccepibile. Se ad autorizzare è stato un giudice penale, era a conoscenza dell'esistenza delle denunce? Quello che non si sa, e che non si immagina, è che la Giustizia è fatta di compartimenti stagni. Le denunce sono in un fascicolo sul tavolo del Pm. La domanda di autorizzazione a vedere il bambino sarà stata proposta al Gip. Due figure diverse che dovevano compartire le informazioni, come si diceva all'inizio.".

Cosa prevede il codice rosso per la tutela dei minori?

"Il codice rosso è intervenuto in vario modo su questo tema. Credo che le norme più adatte a essere citate nel caso di cui stiamo parlando siano proprio quelle che chiedono informazioni costanti e tempestive tra forze dell’ordine, giudice penale e giudice civile, che devono trasmettersi l’un l’altro segnalazioni, informative e relazioni senza ritardo".

Il diritto alla bigenitorialità prevale anche nel caso di un coniuge maltrattante?

"Il diritto alla bigenitorialità va considerato prevalente su tutto quando corrisponde e mette in atto l’interesse prevalente del minore."

Nei casi di separazione "controversa" a chi spetta la valutazione di interesse dei figli minori?

"Spetta al giudice civile che, nei casi controversi, si affida all’esperto e dispone la cosi detta Ctu (Consulenza tecnica d’ufficio) facendo valutare la capacità di tutti i soggetti coinvolti, dai genitori ai nonni, a far fronte alle esigenze primarie del minore in termini di accudimento, di affettività, di accompagnamento e guida nel percorso di crescita".

In base alla sua esperienza nei centri antiviolenza, è possibile che un coniuge maltrattante sia un genitore ineccepibile?

"ll discorso è molto delicato perché da anni disponiamo di una normativa specifica sulla così detta violenza assistita, ossia sui casi in cui, pur non venendo neppure sfiorati dalla violenza agita, poniamo, dal padre, i minori siano presenti quando si manifesta sulla mamma. Col codice rosso, ossia da agosto 2019, sono considerati persone offese loro stessi, i minori. Questo è lo snodo: se nel fascicolo penale vi è anche solo l’accenno alla possibilità che i figli abbiano assistito a maltrattamenti, va immediatamente verificata in maniera competente la capacità genitoriale. Quindi la risposta è sì, astrattamente è possibile ma no, in concreto viene quasi sempre escluso".

Ritornando alla tragedia di Morazzone, a parer suo, si poteva evitare?

"La vicenda di Morazzone è – temo – l’ennesima prova del fatto che in Italia abbiamo ottime leggi ma spesso vengono applicate con ritardo, in questo caso assolutamente ingiustificabile. Quest’uomo si trovava in una condizione personale e giudiziaria molto peculiare: un’accusa di tentato omicidio sulla testa e mesi di arresti domiciliari alle spalle. Due elementi che dovevano far prendere in seria considerazione che psicologicamente non fosse in equilibrio. Trovo gravissimo che gli si sia consentito di portare un bambino di 7 anni con sé, per giunta a casa. Ci sono misure intermedie che garantiscono il diritto di visita senza porre a repentaglio il soggetto indifeso: parlo dello spazio neutro, ad esempio, che è un luogo protetto dove padri e figli possono comunque incontrarsi ma alla presenza di un educatore e con una formula più perimetrata".

In che modo Daniele poteva essere tutelato?

"Che ci fossero o meno denunce a carico del quarantenne da parte della moglie, che fossero o meno compiute le indagini, che fossero riscontrati o meno gli elementi a carico di quest’uomo per violenza domestica, bisognava guardare da un’altra parte, non in quel fascicolo, ma verso quel bambino che, anche senza certezze colpevoliste in

tema di maltrattamenti, aveva diritto a essere tutelato da una persona che, in questo periodo, non viveva in modo sereno un’esistenza normale ma su cui gravavano sospetti molto allarmanti di estrema pericolosità sociale".

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