Kabobo lavora e studia in carcere, il triplice omicidio è alle spalle

Dopo aver visto la pena ridursi di 15 anni rispetto al giudizio di primo grado, per il ghanese continua il percorso di recupero sociale nel carcere di Opera; per lui un programma che prevede lavoro e studio, a partire dal livello elementare

Kabobo lavora e studia in carcere, il triplice omicidio è alle spalle

Adam Kabobo, ghanese di 36 anni che si rese autore nell’11 maggio 2013 dell’efferato omicidio di 3 passanti, uccisi a colpi di piccone nel quartiere Niguarda di Milano, ha iniziato nel carcere di Opera una nuova fase della sua vita.

Ora si può dedicare all’apprendimento dell’italiano ed allo studio, intraprendendo un percorso che inizia dal programma scolastico di livello elementare; all’interno della struttura detentiva si occupa anche di un’attività lavorativa, che prevede la consegna del cibo ai detenuti in regime di 41-bis.

È Benedetto Ciccarone, uno dei legali che lo ha difeso insieme a Francesca Colasuonno, a spiegare le condizioni attuali del suo assistito: trasferito da San Vittore al carcere di Opera, il 36enne continua a seguire un percorso terapeutico di tipo psichiatrico che ha portato a dei piccoli miglioramenti. Ecco perchè, come previsto dai programmi di recupero dei carcerati, il ghanese può occuparsi di svolgere alcune attività lavorative e dedicare il resto del tempo allo studio partendo da un livello basilare, visto che non ha mai ricevuto un’istruzione.

Kabobo era stato condannato a 20 anni, col riconoscimento del vizio parziale di mente, in seguito all’uccisione di tre uomini incontrati lungo il suo cammino in quel tragico sabato: le vittime furono il 64enne Ermanno Masini, il 40enne Alessandro Carolè e Daniele Carella, di 21 anni.

I giudici, che erano partiti dal valutare una richiesta di pena di 35 anni in primo grado, avevano ridotto la condanna a 20 anni in appello, dichiarando che Kabobo aveva ucciso per “rancore e sfinimento per le sue esperienze di quotidiana lotta per la sopravvivenza”, rendendosi autore di un’ “azione criminale agevolata dalla malattia”; queste le parole della sentenza, riportate anche dal portale “Leggo.it”.

Sentenza accolta con sdegno dai parenti delle vittime, i quali ritenevano di aver subìto un’ingiustizia, che andava a sommarsi al dolore per la perdita dei loro cari.

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