Il massacro, l'indagata, gli audio: dopo 25 anni la verità su Nada Cella?

A 25 anni dal delitto il caso di Nada Cella è a un passo dalla svolta. Una donna, Annalucia Cecere, è indagata per omicidio aggravato. Dalle prime indagini agli ultimi risvolti: la storia del cold case di Chiavari

Il massacro, l'indagata, gli audio: dopo 25 anni la verità su Nada Cella?

Dalla mattina del 6 maggio 1996, quando Nada Cella fu assassinata nell'ufficio in cui lavorava come segretaria, sono trascorsi 25 anni. Venticinque lunghi anni in cui l'ombra di un assassino senza nome è scivolato, quasi fosse un fantasma, tra le pagine del fascicolo di indagine per omicidio aggravato. Ed è proprio lì, tra le pieghe di quei faldoni stipati nell'archivio della Procura di Genova, che lo scorso maggio sono riemersi i dettagli del truce massacro. Dettagli che si sono trasformati in indizi, nuovi sospetti, possibili tracce di quel fantasma spietato.

C'è un nuovo nome nel registro degli indagati: è quello di Annalucia Cecere, ex insegnante di 53 anni, sui cui adesso si concentrano le attenzioni degli inquirenti. E poi ci sono gli audio di una donna misteriosa, non ancora identificata, che potrebbe aver visto il killer in fuga da via Marsala, a Chiavari, teatro dell'aggressione fatale. La chiave di volta del giallo potrebbe celarsi in una piccola traccia ematica affidata al genetista forense Emiliano Giardina oppure nel confessionale di una chiesa. Venticinque anno dopo l'assassino di Nada potrebbe avere i giorni contati. "Ci speriamo tutti. La magistratura, i consulenti tecnici e tutti quelli che lavorano a questa inchiesta ci stanno mettendo il cuore oltre all'impegno. Si è mobilitata una grande macchina, c'è molta collaborazione tra le parti", dice al ilGiornale.it l'avvocato Sabrina Franzone, rappresentante legale di Silvana Smaniotto, la mamma di Nada.

Chi è Nada Cella

Nel 1996 Nada è una ragazza di appena 24 anni. Timida e riservata ma al contempo molto tenace e caparbia. Vive a Chiavari, in provincia di Genova, insieme a mamma Silvana che lavora come bidella in municipio. Suo padre, Bruno Cella, è un falegname: è rimasto ad Alpepiana, paesino nella Val d'Aveto di cui è originario, per comodità lavorativa. Nada lo raggiunge per il fine settimana, con anche la madre, per restarvi fino alla domenica dopo il pranzo e la messa nella chiesetta di San Pietro. Sua sorella Daniela, la maggiore delle due, invece vive a Milano con il marito. La vita di Nada si divide tra il lavoro di segretaria nell'ufficio di un commercialista di Chiavari, la famiglia e gli amici. Pochi intimi con i quali, quasi ogni settimana, va a ballare in una discoteca di Santo Stefano. Da qualche tempo si è iscritta a un corso d'inglese per perfezionare la conoscenza della lingua straniera e ampliare le sue competenze. Sogna di esplorare il mondo, di viaggiare. L'anno prima che il suo nome rimbalzasse su tutti i quotidiani era stata in Grecia. Forse ci sarebbe ritornata anche quell'estate del 1996.

Il massacro

Il 6 maggio 1996 è un lunedì come tanti. Nada si sveglia alle 6.20 per accompagnare mamma Silvana al lavoro, escono di casa qualche minuto dopo le 7. Poco più tardi si reca nell'ufficio del commercialista Marco Soracco, al civico 14 di via Marsala, nel centro di Chiavari. Successivamente un testimone anonimo riferirà alla polizia di aver visto la ventiquattrenne varcare la soglia di ingresso della palazzina attorno alle 8.35, ma in realtà non c'è alcun riscontro delle dichiarazioni rese dallo sconosciuto. Per certo quella mattina il computer di Nada risulta acceso alle 7.51 e alle 8.50 viene lanciata una stampa. Poi c'è un buco di 20 minuti in cui le tapparelle dell'ufficio rimangono abbassate e il telefono squilla a vuoto. Fino a quando, alle 9.10, Marco Soracco lancia l'allarme al 113 per "una caduta".

Il professionista ha trovato Nada riversa in una pozza di sangue sul pavimento della sua stanza, distesa tra il muro e la scrivania. I soccorritori, allertati dalle forze dell'ordine, si precipitano in via Marsala: la ragazza è agonizzante. Viene portata dapprima all'ospedale di Lavagna, poi, in fin di vita, al San Martino di Genova dove muore qualche ora più tardi. L'autopsia accerterà che non si è trattato di un malore né di una caduta accidentale: Nada è stata massacrata.

L'esito degli accertamenti autoptici condotti dal medico legale fuga ogni dubbio sull'entità dell'aggressione. La ventiquattrenne è stata colpita per 8 volte sul corpo con un oggetto contundente e poi sbattuta con violenza contro una superficie piana: l'impatto è stato tale da procurarle il fracassamento delle ossa frontoparietali del cranio, circostanza che ne ha determinato la morte.

La scena del crimine

L'ufficio di Nada è imbrattato di sangue. Ci sono i suoi mocassini vicino alla scrivania a cui era solita sedersi per lavorare. Forse li ha persi mentre tentava di difendersi dall'aggressore. C'è anche un bottone che gli agenti della squadra Mobile hanno trovato sul pavimento, proprio lì, dove era distesa la vittima. Il resto della stanza appare in ordine: il computer è acceso e le pratiche dei clienti sono al loro posto. Non ci sono segni di effrazione né alla porta principale dello studio né alle finestre. Ma la scena del crimine purtroppo è stata alterata. I paramedici, impegnati nelle manovre per soccorrere rapidamente Nada, hanno contaminato inconsapevolmente la stanza. E poi la mamma del commercialista, Marisa Bacchioni, si è affrettata a pulire il corridoio, le scale condominiali e l'androne ancor prima dell'arrivo degli investigatori - la donna pare sia molto attenta all'igiene. Fatto sta che le tracce del killer, le sue orme nella palazzina di via Marsala, sono state cancellate con un colpo di spugna.

Nada Cella

Il giallo del floppy disk e del libretto di lavoro

Nessuno ha visto né sentito nulla nell'edificio dove si è consumato il massacro. Eppure in quel palazzo c'è un andirivieni continuo di persone tra residenti e visitatori. Nel lasso di tempo intercorso tra l'arrivo di Nada al lavoro e la fuga dell'assassino, quella mattina ci sarebbero state anche le donne delle pulizie: nessuna di queste avrebbe notato la presenza di un estraneo. Una vicina di casa dei Soracco, che abitano al piano superiore dell'ufficio, racconta di aver "sentito un tonfo" alle 9.01. Un'altra "l'acqua che scorreva" copiosamente in bagno. Marco Soracco, ascoltato dagli investigatori, spiega di essere arrivato al lavoro con dieci minuti di ritardo. Dopo aver risposto a una chiamata, si è diretto nella stanza della segretaria. Ha notato che le luci del corridoio erano accese e le tapparelle ancora abbassate: un'anomalia rispetto alle abitudini dell'impiegata.

Ma c'è anche un'altra stranezza. Marisa Bacchioni racconta che il sabato antecedente all'omicidio, Nada si sarebbe recata in ufficio di mattina presto sostenendo di aver bisogno di alcuni chiarimenti per una pratica che stava disbrigando. Così si è seduta alla sua scrivania e ha telefonato a Soracco. Dopodiché, precisa la mamma del commercialista agli inquirenti, avrebbe estratto un floppy disk dal computer e lo avrebbe infilato in borsa. Ma di quel floppy non è mai stata trovata traccia.

C'è poi un altro piccolo giallo, uno dei tanti di questa storia. Quando la borsa della ventiquattrenne è stata restituita ai familiari, la sorella Daniela ha notato che al suo interno c'era anche il libretto di lavoro di Nada. Perché lo aveva con sé? Forse aveva deciso di licenziarsi? "Anche questo dettaglio non è mai stato chiarito. - spiega l'avvocato Franzone - Sembrerebbe che lo abbia dato Sorraco agli inquirenti e che poi gli stessi, quando hanno restituito gli effetti personali di Nada alla famiglia, abbiano infilato nella borsa anche il libretto del lavoro della ragazza". Un altro interrogativo che resterà senza risposta per 25 anni.

I sospetti su Marco Soracco

Le indagini sul misterioso omicidio vacillano sin da subito. La vita di Nada è specchiata, limpida e cristallina. I sospetti degli inquirenti si concentrano su Marco Soracco, il datore di lavoro. Ad avvalorare quest'ipotesi sono alcune dichiarazioni rese da un collega del commercialista. I due frequentano lo stesso corso di ballo serale presso la palestra "Odeon". Qualche settimana prima del drammatico accadimento, al termine di una lezione, si sarebbero intrattenuti in un bar per bere una birra. "Stavamo quasi per lasciarci, era quasi mezzanotte - dichiara il testimone – All'improvviso, lui mi disse 'e poi ci sarà la botta', una cosa che riguardava il suo studio e che avrei appreso notizie anche dai giornali. La signorina o segretaria se ne sarebbe andata. E allora, al quel punto, siccome continuavo a non capire, gli dissi 'perché mi dici queste cose, che uso devo farne?' Lui rispose di farne l'uso che uno voleva: 'tanto quando la cosa si sarà calmata si capirà'".

Soracco smentisce tali affermazioni ma per gli inquirenti quelle parole risuonano come una minaccia terribile, il preludio di ciò che sarebbe accaduto di lì a quel giorno di maggio. Il commercialista, al tempo trentenne, diventa il principale indiziato del delitto. Mancano però elementi probanti la presunta colpevolezza o un qualsivoglia coinvolgimento nella vicenda. Il commercialista si dichiara estraneo ai fatti sostenendo di aver intrattenuto con Nada un rapporto puramente professionale. Il 18 luglio del 1997 Marco Soracco viene prosciolto e il caso archiviato.

A cavallo tra il 2003 e il 2004 la procura di Genova riapre le indagini puntando sui vicini di casa di Nada coinvolti nel maxi processo Kanun sul racket della prostituzione ma la pista si rivela infondata. Viene indagata anche una donna, affetta da disturbi psichici, che vive nell'appartamento al terzo della palazzina al civico 14 di via Marsala ma ha un alibi di ferro. Nel 2011 vengono individuate tracce di Dna sulla scena del crimine che però non trovano riscontro.

La svolta 25 anni dopo: indagata una donna

Quando la vicenda sembrava essersi arenata giunge la svolta clamorosa. A maggio del 2021 la Procura di Genova annuncia di avere in mano elementi per riaprire le indagini. In realtà si tratta di vecchi reperti che ora potranno essere esaminati con le nuove tecniche di investigazione scientifica. Capelli senza bulbo rinvenuti sul corpo della giovane Nada da cui sarà estratto il Dna mitocondriale, tracce sulla camicetta e pantaloni della vittima oltre al sangue in alcuni punti dello studio e dell'ascensore del condominio, che sono state affidate al genetista forense Emiliano Giardina. Ma non è solo questa l'unica direzione in cui si muoveranno gli investigatori.

C'è una nuova indiziata per il delitto. Si tratta di Annalucia Cecere, un'ex insegnante di 53 anni (all'epoca dei fatti ne aveva 28), su cui ora si concentra l'attenzione della procura. La donna era già stata indagata, in tempi non sospetti, per via di un bottone rinvenuto sotto il corpo di Nada e che pare appartenesse a una giacca in uso al suo fidanzato dell'epoca. Ma poi la sua posizione era stata rapidamente archiviata. A gettare ombre sulla 53enne, che ora è indagata con l'ipotesi di reato per omicidio aggravato, sono alcune tracce di sangue rinvenute sul vecchio motorino della donna, stipato nel box auto della sua abitazione di Boves, dove risiede attualmente. Ma c'è di più.

Gli audio choc: "Era sporca, ha infilato tutto nel motorino"

Due testimonianze, trascurate al tempo delle indagini preliminari, inaspriscono la posizione dell'ex insegnante. In una telefonata anonima, risalente al 9 agosto 1996, una donna riferisce di aver visto una persona allontanarsi, in sella al motorino, dal luogo del delitto la mattina del 6 maggio 1996. "L’ho vista che era sporca – afferma la sconosciuta - ha infilato tutto nel motorino. Io l’ho salutata, non m’ha guardato. Quindici giorni fa l’ho incontrata in carruggio, che andavo alla posta, non mi ha nemmeno guardata, è scivolata di là, verso sera".

La donna fa numerose altre telefonate tra cui una alla madre di Soracco nell'agosto dello stesso anno. "Si conoscono signora. È che stanno tutte zitte, perché eravamo diverse… - dice la presunta supertestimone - Io non faccio nomi, perché eravamo diverse. Io non so perché le altre non parlano, eravamo in cinque". Chi sono le "cinque" donne a cui fa riferimento la sconosciuta? Forse delle suore? "Non penso fossero suore. - spiega l'avvocato - Ho parlato con alcune persone di Chiavari e tutte mi hanno confermato che le suore non parlano in dialetto. E poi usa il termine 'ragazze' per riferirsi alle persone che erano con lei, non le chiama 'sorelle'. L'espressione 'ragazze' mi fa pensare a un contesto di volontariato. Mi vengono in mente, ad esempio, le educatrici di un tempo, le famose 'signorine'".

Il sospetto che i dettagli sull'omicida di Nada possano esser stati custoditi per anni nel confessionale di una chiesa appare più che fondato. Quattro preti sarebbero stati invitati a conferire con gli inquirenti. Un sarcedote, secondo quanto riporta il sito de La Repubblica, avrebbe cominciato a collaborare.

A un passo dalla verità

Sui rapporti tra Marco Soracco e Annalucia Cecere aleggia ancora un alone di mistero. Il commercialista, a oggi indagato con l'ipotesi di reato per falsa testimonianza ai pm: è accusato di aver "coperto" l'assassino di Nada, tuttavia afferma di non aver né coltivato un'amicizia né di aver mai intessuto alcun tipo di relazione con la 53enne. Per contro, gli inquirenti ipotizzano il movente della gelosia alla base del delitto: l'ex insegnante si sarebbe invaghita del professionista, che invece sarebbe stato interessato alla giovane vittima, ma Soracco smentisce anche questa circostanza. In tutto questo groviglio di testimonianze, vecchi reperti e nuovi indagati, si riaccende la speranza di mamma Silvana, che da quel maledetto giorno di maggio non ha mai smesso di chiedere giustizia per sua figlia.

Venticinque anni senza Nada. Ora più che mai, a un passo dalla verità. "Chi sa qualcosa o crede di sapere qualcosa perché, magari, glielo ha raccontato un parente, si faccia avanti", è l'appello dell'avvocato Sabrina Franzone.

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