Finché morte non ci separi. Per lo Stato ormai è così. La "convivenza come coniugi" che si è protratta "per almeno tre anni" dalla data di celebrazione del matrimonio in chiesa "è ostativa" alla "dichiarazione di efficacia nella Repubblica italiana delle sentenze definitive di nullità del matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici". A sancirlo sono state le sezioni unite civili della Cassazione che, con una sentenza depositata oggi, hanno così sciolto un nodo giurisprudenziale ancora aperto.
Uno dei coniugi si opponeva alla delibazione, stabilita dalla Corte d’appello di Venezia della sentenza con cui la Sacra Rota aveva, nel 2009, dichiarato nullo il matrimonio, celebrato nel 1998 e dal quale era anche nata una figlia, "per esclusione della indissolubilità del vincolo da parte della donna". Pur rigettando il ricorso dell’uomo la Suprema Corte ha limitato la possibilità che le sentenze di nullità delle nozze pronunciate dai tribunali ecclestiastici vengano ritenute efficaci nell'ordinamento italiano, collegandole alla durata della convivenza coniugale. "La convivenza come coniugi - si legge nella sentenza delle sezioni unite - deve intendersi secondo la Costituzione, le Carte europee dei diritti, come interpretate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, e il codice civile, quale elemento essenziale del 'matrimonio-rapporto' che si manifesta come consuetudine di vita coniugale comune, stabile e continua nel tempo ed esteriormente riconoscibile attraverso corrispondenti, specifici fatti e comportamenti dei coniugi, e quale fonte di una pluralità di diritti inviolabili, di doveri inderogabili, di responsabilità anche genitoriali in presenza dei figli, di aspettative legittime e di legittimi affidamenti degli stessi coniugi e dei figli, sia come singoli sia nelle reciproche relazioni familiari".
538em;">Intesa in tal modo, e non come mera "coabitazione", la "convivenza 'come coniugi', protrattasi per almeno tre anni dalla data di celebrazione del matrimonio concordatario regolarmente trascritto, connotando nell’essenziale l’istituto del matrimonio nell’ordinamento italiano - scrivono gli alti giudici - è costitutiva di una situazione giuridica disciplinata da norme costituzionali, convenzionali ed ordinarie, di 'ordine pubblico italiano'" e, dunque, in applicazione dell’articolo 7 della Costituzione ("Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani", ndr) e del "principio supremo di laicità dello Stato", è "ostativa alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica Italiana delle sentenze definitive di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, per qualsiasi vizio genetico del matrimonio accertato e dichiarato dal giudice ecclesiastico nell'ordine canonico nonostante la sussistenza di detta convivenza coniugale". Nel caso di specie, la Cassazione ha però dichiarato inammissibile questo motivo di ricorso sollevato dal ricorrente in quanto proposto per la prima volta soltanto nel giudizio di legittimità.
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