Dopo la scoperta di un’ulteriore variante Covid, la BV-1 che proviene dal Texas, il mondo è però in apprensione per quella indiana, che nel Paese d’origine sta creando una vera e propria ecatombe con migliaia di morti e il collasso dell’intero sistema sanitario. Alcuni casi di questa variante sono arrivati anche nel nostro Paese e la domanda che ci si pone è quanto dobbiamo preoccuparci e quali sono le differenze con le altre già conosciute. Abbiamo girato la domanda al Professor Massimo Ciccozzi ordinario di Epidemiologia e Statistica medica all’Università Campus Biomedico di Roma, per fare chiarezza sulla questione. Ma soprattutto per comprendere quanto realmente sia preoccupante questa ulteriore mutazione del virus, e quanto ci sia di vero sul fatto che resisterebbe ai vaccini.
Fino ad ora le varianti sono state considerate un’evoluzione del Covid quasi in positivo, nel senso che per sopravvivere il virus diventa più contagioso ma meno aggressivo. Però con tutte le varianti che sono state trovate, dall’Inglese che si è detto infettava soprattutto i giovani e ora anche l’indiana che sta preoccupando molto, questo non è successo. La mortalità è comunque elevata.
“In realtà è sempre la stessa e non è cambiata tranne nel periodo del lockdown, perché per la chiusura c’erano meno infetti. Diciamo che il fatto che siano più contagiose si può vedere dallo stress degli ospedali. Tante sono le persone ricoverate, ma alla fine il numero di quelle che muoiono è su per giù lo stesso e sono principalmente quelle più fragili e con patologie. La mediana delle persone decedute si attesta sempre sugli 81/83 anni. L’età non si è abbassata”.
Se il virus muta e diventa meno aggressivo ma più contagioso, non dovrebbero esserci più infetti ma meno morti?
“La mortalità dipende proprio dal fatto che ci siano più infetti e tra questi c’è una percentuale di persone fragili. Per spiegarlo più semplicemente se c’è un 3% di letalità e si infettano 100 persone, di queste ne muoiono 3. Se se ne infettano 200, il numero salirà a 6 e così via in percentuale”.
Si dice che le varianti attaccano particolarmente i giovani è vero?
“Approfitto di questa domanda per chiarire un concetto su cui a volte si è fatta molta confusione. Il virus non fa distinzione di età o sesso. Non è vero quindi che vengono attaccati più i giovani, il virus attacca e basta. Il fatto è che questi si proteggono di meno. Ed è un dato di fatto, come abbiamo visto spesso in tv con gli assembramenti. Va compreso bene che se non ci si protegge e ci si comporta in un certo modo, le nuove chiusure saranno inevitabili”.
Quando venne scoperta e si diffuse la variante inglese che ora è diventata la più comune, le autorità sanitarie riportavano di ospedali pieni di giovani che all’inizio della pandemia, venivano considerati più protetti.
“Anche in questo caso c’è da chiarire il significato di protetti che non era riferito al contagio, ma alla mortalità. Avendo un sistema immunitario forte una gran parte di giovani è risultata asintomatica, ma questo non li proteggeva dall’infettarsi, ma solo dalla mortalità. Come dicevo prima il report dell’Istituto della Sanità continua a dire che l’età della mortalità è attestata sempre sugli 81 anni, non è cambiata. Le varianti ci sono sempre state e io l’ho dichiarato sin dall’inizio della pandemia che il virus mutava. Su questa cosa sono stato attaccato anche da nomi illustri, che si sono poi ricreduti. All’epoca non c’erano studi certi sulle varianti ma l’unica cosa su cui avevo dubbi era se il virus sarebbe mutato a suo o a nostro favore. Sul fatto che mutasse ero assolutamente certo”.
Anche ora da parte degli esperti ci sono opinioni discordanti sia sul virus che sulle varianti, come si fa a capire qual è la verità?
“Tutti noi che facciamo questo lavoro, dovevamo essere più coesi. Se c’era il dubbio su qualcosa lo dovevamo esternare tra di noi in un congresso scientifico, non in televisione. In questo modo la gente l’abbiamo confusa e anche spaventata”.
In questo momento la variante indiana sta preoccupando molto. Abbiamo visto tutti cosa sta succedendo in India. Quanto dobbiamo temerla e cosa ha di diverso rispetto alle altre?
“È importante dire che non la si conosce ancora benissimo. È stata comunque riscontrata una trasmissibilità maggiore, riportata da alcuni studi americani. Cito loro perché la variante mutata che è la 452r (dove il numero segnala la posizione della mutazione all'interno del genoma di Sars Cov 2) è simile alla variante californiana. Un’altra peculiarità è che ha cambiato la famosa 484k, ovvero la posizione che dava una minor efficacia vaccinale. È passata da K a Q, ha cambiato cioè un aminoacido. Anche noi rispetto a questo abbiamo studi in corso e a brevissimo avremo un’idea più chiara e reale su questa ipotesi. È però fondamentale capire che questa variante ha fatti gravissimi danni in India perché lì si è vaccinato molto poco. Questo ha portato il virus a selezionare questa variante che era quella che gli dava più vantaggi (il virus muta per sopravvivere e attaccare più persone possibili ndr). In più ci sono stati tantissimi morti perché la popolazione non si è adeguatamente protetta con mascherine e disinfettanti. Abbiamo visto il giorno dell’immortalità quante migliaia di persone hanno fatto il bagno nel Gange senza protezione. Gli ospedali sono arrivati al collasso per questo motivo, creando la situazione che tutti stiamo vedendo”.
A questo proposito non molti sanno che l’India è il maggior produttore mondiale di farmaci. C’è la possibilità che con questa situazione interna ci possano essere problemi di distribuzione di farmaci in tutto il mondo?
“Questa è una bella domanda a cui è difficile dare una risposta. L’India non è soltanto il maggior produttore di medicinali, ma anche di vaccini. Si parla di quasi il 60% della produzione mondiale. Se per ipotesi dovessero convertire le fabbriche per soddisfare la richiesta interna di vaccini, potrebbe essere. Al momento credo però sia molto improbabile”.
Ponendo ma come dice lei ne sapremo di più a breve, che la variante indiana sia meno attaccabile, come risulta, dai vaccini, si stanno studiando delle modifiche a quelli già esistenti?
“Quelli che noi abbiamo al momento sono comunque vaccini di ultima generazione, ma è cosa nota che sia Pfizer che Moderna che AstraZeneca stanno studiando la cosiddetta terza dose, ovvero stanno modificando il vaccino cambiando la proteina Spike (il principale meccanismo che il virus utilizza per infettare le cellule bersaglio, ndr) in base alle varianti note in modo che ci sia una copertura al 100%. Ci stanno già lavorando e i risultati si vedranno a breve, anche in un paio di mesi”.
In Italia la variante indiana è già arrivata, per fortuna con pochi casi, cosa dobbiamo aspettarci?
“Intanto bisogna assolutamente fare un monitoraggio serio, importante e molto restrittivo in modo che nel nostro Paese non entrino altre varianti perché tutte quelle che già abbiamo sono arrivate con i viaggi. Per questo dobbiamo monitorare attentamente i passeggeri che provengono dall’India e non solo quelli con volo diretto per l’Italia, ma anche quelli che fanno scalo in altri paesi ma provengono comunque da lì. Tutti quelli che sono residenti devono fare la quarantena e il tampone sia all’andata che all’arrivo”.
Visto che la quarantena è fiduciaria chi controlla che queste persone la facciano correttamente?
“Su questo mi sono già pronunciato. A mio parere andrebbero utilizzate le caserme in disuso, perché la quarantena deve essere fatta sotto stretto controllo sanitario, non fiduciaria”.
Perdoni se insisto su questo punto, ma c’è un’attenzione maniacale su bar ristoranti e attività commerciali, ma poi mi sembra che sui passeggeri provenienti da Paesi a rischio le maglie siano un po’ larghe.
“Sono molto d’accordo, sono troppo larghe. La quarantena che ora è di quindici giorni, a mio parere dovrebbe essere estesa a 20 e, come dicevo, sotto stretto controllo sanitario”.
Si ha un’idea su quanto gli attuali vaccini possano fornire protezione?
“Al momento nessuno lo sa. L’unico dato certo sono i sei mesi dato dall’analisi ad interim del trial vaccinale, che è stata fatta su 40.000 persone. Bisogna aspettare i dati dei vaccinati, che avremo la prossima estate”.
Dopo trenta giorni dalla seconda dose vaccinale si fa un’esame sierologico per controllare gli anticorpi che solitamente a questo primo controllo risultano altissimi. Quando si fa a 60 giorni risultano però quasi dimezzati cosa significa?
“Questo è vero, ma noi abbiamo le cellule di memoria. La storia immunologica ha milioni di anni di evoluzione. Quello che dobbiamo capire è che il vaccino è fondamentale perché toglie i sintomi della malattia e non la fa aggravare. Le persone in questo modo non muoiono più”.
Ha conoscenza di persone reinfettate dopo i vaccini?
“Ci sono casi rari ma esistono. La cosa importante però è che sono risultati completamente asintomatici”.
Quanto voi studiosi temete le riaperture?
“Personalmente nella giusta maniera. Nel senso che per fortuna siamo riusciti a riaprire e ora la cosa importante è fare un monitoraggio costante. Vedremo come saranno i dati tra un paio di settimane. Certo è che se le persone non si comportano come dovrebbero, con mascherine, disinfettanti e distanziamento, ovviamente come ci sono state le riaperture ci saranno nuovamente le chiusure. Ma questo dipende da noi”.
I Nas hanno trovato tracce di covid in alcuni supermercati. È possibile infettarsi facendo la spesa?
“La cosa è estremamente improbabile, significherebbe che qualcuno infetto con una carica virale importante avesse ad esempio starnutito e noi subito toccato con la mano quella parte o quel prodotto portando poi le mani alla bocca. Mi sembra onestamente impossibile anche perché il virus non sopravvive a lungo sulle superfici.
In ogni supermercato ci sono disinfettanti a disposizione basta usare le giuste precauzioni ed evitare ovviamente di portare le mani sul viso non prima di averle disinfettate per bene. È anche fondamentale ricordare che vanno indossate le mascherine anche per chi è vaccinato”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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