Siamo il Paese dei paradossi. E, soprattutto, degli ultrà dell'odio. C'è una foto che da qualche giorno rimbalza tra i vari siti online. È un'istantanea scattata qualche settimana fa durante un corteo ad Albano Laziale per l'anniversario della caduta del muro di Berlino. Occhio, perché è il contesto che fa la differenza. Albano Laziale era il luogo scelto per le esequie, poi saltate, dell'ex Ss Erich Priebke. I tafferugli, i calci alla bara e il feretro in fuga verso destinazioni ignote, per evitare altri tumulti. Sono le cronache di un Paese che non riesce a far pace neppure con la storia. Figuriamoci con la quotidianità. Torniamo all'immagine. Al corteo del nove novembre partecipano anche antagonisti ed esponenti dei centri sociali che cercano di deviare la manifestazione verso la sede dei padri lefevbriani, rei di aver ospitato il cadavere di Priebke. Srotolano i soliti striscioni contro il boia delle Ardeatine e, a corredo, compare una maglietta con la scritta "I love Foiba". Uno schiaffo alla decenza e al buonsenso. Come si può attaccare un assassino (Priebke) esaltando allo stesso tempo altri assassini (gli infoibatori)? Un cortocircuito che smaschera un vizio: quell'idea strisciante che dalle nostre parti ci siano ancora morti di serie A e morti di serie B. Vittime che si possono ricordare e martiri che non si possono neppure nominare. Stragi da relegare - giustamente - nelle cantine della vergogna e altre che possono essere elevate a simbolo.
Perché in questa macabra Borsa dei morti, quelli precipitati dai comunisti nel cuore del Nordest valgono meno di tutti gli altri. Priebke è un mostro, ma i tanti Priebke di Tito, invece, sono buoni per essere idolatrati. E l'oblio della memoria aumenta la mole della tragedia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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