Cura, identità e alta cucina

Il ristorante stellato di Lisbona, all’interno del Four Seasons Hotel Ritz di Lisbona, è una destinazione molto interessante e può essere un modo per scoprire un lato più colto e ambizioso di una città gastronomicamente piuttosto tradizionale. Lo chef Pedro Pena Bastos è un cercatore di ingredienti straordinari e nella sua eccellente cucina ricerca sapori inconsueti senza tradire il genius loci

Cura, identità e alta cucina
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Lisbona è una città in gran forma, accogliente, affascinante, ricca di turisti in ogni stagione e ancora più di italiani che girovagano per i quartieri più affascinati, Alfama, la Baixa, il Chiado, il Bairro Alto e affollano i tram e gli elevador. Naturalmente esiste anche una Lisbona del cibo, che vive di alcuni luoghi comuni certamente golosissimi: penso ai pasteis de nata, i celebri pasticcini di pasta sfoglia a base di crema e nocciola, che un tempo si potevano trovare solo nel lontano quartiere di Belèm, nella pasticceria in cui vennero inventati, e che ora riempiono invece le vetrine di ogni pasticceria. E penso al baccalà, anzi al Bacalhau, proposto nei vari ristoranti in mille ricette differenti, e soprattutto in quella à Braz, che non è alla brace come il nome farebbe pensare ma è semplicemente dedicata a tale signor Bras, che ebbe la ventura di inventarla.

C’è però anche una Lisbona gourmet, che si sta affacciando ora sulla scena del fine dining. Lisbona non vanta nemmeno un tre stelle, ma sta crescendo e ha quattordici ristoranti stellati. Uno di essi è CURA, all’interno di uno degli alberghi leggendari della città, il Four Seasons Hotel Ritz Lisbon, rispetto al quale vanta però una sua identità precisa, sottolineata anche dall’ingresso separato. Il nome non ha molto a che fare con il significato italiano del termine, ma piuttosto con la curatela artistica. Poco importa, sempre di attenzione si tratta, al cliente e al dettaglio. La proposta gastronomica è guidata da Pedro Pena Bastos (coadiuvato dal sous-chef Rodolfo Lavrador), che nella sua cucina a vista, sintomo di chi non ha nulla da nascondere, sposa una filosofia che fa centro su prodotti di altissimo livello di piccoli produttori locali, a volti insoliti, come “i migliori ceci che possiamo trovare” e come la carne ricca di grassi buoni del maiale iberico dell’Alentejo, regione a Sud di Lisbona. Ovviamente la cucina è profondamente territoriale e stagionale, e la tecnica assai raffinata di Pena Bastos è utilizzata al fine di esaltare le migliori caratteristiche di una materia prima tanto ricercata.

Due sono i menu degustazione: uno di dieci portate a 185 euro e uno più stringato di cinque a 145. Non esiste la possibilità di ordinare alla carta ma ci sono delle alternative vegetariane per tutti i piatti. Dopo alcuni finger food di apertura (gambero, zucca e maionese allo zafferano) sono entrato nel vivo con una Ricciola con del cavolo nero croccante e del cetriolo e un brodo dashi realizzato con gli scarti del pesce, acqua di cetriolo e acqua di cavolo e un tocco di menta che dà freschezza. Un piatto austero ma estremamente interessante. Poi quello che mi viene descritto come un piatto iconico del locale, l’unico sempre presente dall’apertura del ristorante nel 2020: calamaro al vapore delle Azzorre con nocciola, bergamotto e caviale e un burro all’alga marina. Quindi, dopo il servizio del pane con grani antichi (eccellente), una Spigola con vongole, curry di Goa e piselli e, passando alla carne, un Maiale iberico con mandorle, mela cotogna, rico di funghi selvaggi e foglie di rapa. Infine i dolci: Bread&Fruit è un dessert con ananas, malto, lievito e melassa molto più fresco di quanto gli ingredienti facciano intuire. Quindi la piccola pasticceria: bolo de bolacha, la reinvenzione di un tipico dolce brasiliano a strati, qui arricchito dal caffè; una piccola frittella chiamata “fartura” con il mandarino, e un dolce a base di cacao e fico.

La cena è interessante, Pena mostra una tecnica assai affinata che mette al servizio dei propri pensieri, si nota l’impegno nello sviluppare una via portoghese al fine dining, una sorta di eleganza identitaria. E poi scivola via che è un piacere anche grazie a un ritmo giusto, particolare questo a cui io faccio molto caso. Il servizio è soave, in spirito portoghese, ovvero con quel pudore e quell’austerità lusitana che ingentiliscono la tipica irruenza latina.

La carta dei vini è tutta portoghese (scelta che in Italia non pratichiamo) perché qui, che piaccia o no, si vuole valorizzare la produzione nazione. Mi pare di avere intravisto nella carta soltanto uno Champagne. Evidentemente quando si tratta di bollicine nobili, qualsiasi nazionalismo fa un passo indietro.

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