Così le sigle comuniste invocano la "violenza rivoluzionaria" e portano la lotta in piazza

Piazze sempre più calde e disordinate diventano terreno di conquista per le sigle comuniste rivoluzionarie, che teorizzano la "forza del fucile" per la "presa del potere politico"

Così le sigle comuniste invocano la "violenza rivoluzionaria" e portano la lotta in piazza

In Italia sta crescendo e sta prendendo forza un movimento di estrema sinistra extra-parlamentare che si rifà alle ideologie trotskiste, marxiste e leniniste. Dai Carc, il Partito dei Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo, passando per il nPci, (nuovo) Partito Comunista Italiano, il Pcr, Partito Comunista Rivoluzionario, e il Pmli, Partito marxista-leninista italiano, le rivendicazioni di queste sigle sono tutte di estrazione eversiva. Per altro, la maggior parte di queste si trovavano in piazza anche il 5 ottobre, nella manifestazione non autorizzata che è arrivata allo scontro grave con le forze dell'ordine. I segnali che arrivano dai manifesti di questi partiti, che stanno trovando sempre più spazio, sono preoccupanti e sembrano essere l'anticamera di una nuova stagione di piombo.

"La violenza rivoluzionaria è parte integrante della linea politica del PMLI", si legge nel manifesto del Partito marxista-leninista italiano, a capo del quale c'è Giovanni Scuderi, in carica dal 1977. Ammettono che: "La violenza rivoluzionaria è inevitabile per prevenire o stroncare il golpe fascista, comunque è indispensabile per la presa del potere politico da parte della classe operaia. Il grande passaggio storico dal capitalismo al socialismo può avvenire solo attraverso la rivoluzione violenta". Scrivono che "solo con la forza del fucile la classe operaia e le masse lavoratrici possono sconfiggere l'esercito armato della borghesia, trasformare la vecchia società, abolire la proprietà privata capitalistica, distruggere lo Stato borghese e imporre il proprio potere". Sostengono la struttura bolscevica del partito, ripudiano le idee trotskiste e sostengono l'impiego degli studenti e la necessità di avere "delle forze e delle energie fresche, e con un certo tempo a disposizione, da utilizzare per il lavoro di partito e di massa. Senza di essi è piuttosto difficile penetrare nelle scuole e nelle università".

Il Partito marxista-leninista italiano era certamente in piazza il 5 ottobre, come dimostrano i cartelli esposti. E non si possono chiamare "infiltrati", come rivendicano gli stessi manifestanti, perché la loro presenza è stata ampiamente annunciata tra le sigle aderenti. Leggendo il loro manifesto, si può avere anche un quadro più completo di quello che sta accadendo sotto le braci, che forse si sta sottovalutando, delle manifestazioni di piazza. "Prima dell'insurrezione il Partito deve saggiare la forza, la preparazione, la compattezza, la disciplina, il coraggio e la determinazione delle masse rivoluzionarie mediante manifestazioni e scioperi politici e il largo uso dei vari metodi di lotta fra cui la lotta di strada, i blocchi stradali, delle ferrovie, dei porti e degli aeroporti, l'occupazione di edifici pubblici e l'erezione di barricate", si legge. Esattamente quello che è successo sabato 5 ottobre a Roma.

Ma di movimenti estremisti nella galassia comunista ne continuano a nascere, come dimostra l'assemblea di formazione del Partito Comunista Rivoluzionario, che si terrà il prossimo 23 novembre a Roma. Affiliato all'Internazionale Comunista Rivoluzionaria, il Pcr ne condivide il manifesto politico, che sostiene "la necessità di una rottura rivoluziona e traccia una strategia concreta per costituire le forze necessarie a raggiungerla". Tra quelle righe viene sventolato lo spettro di una "dittatura aperta", strategia comune in queste sigle per incutere paura e favorire l'indottrinamento, come infatti dicono apertamente quando ammettono che "gli studenti, che negli anni Venti e Trenta fornivano al fascismo le truppe d’assalto, si sono spostati bruscamente a sinistra e sono aperti alle idee rivoluzionarie".

Nemmeno troppo indirettamente, anche loro effettuano un parallelismo con il fascismo e si compiacciono di avere le giovani "truppe d'assalto" a disposizione. Ciò che sostengono di voler combattere, che non esiste più, è ciò che in realtà vorrebbero instaurare. "Non è più necessario convincere ampi strati della gioventù della superiorità del comunismo. Sono già comunisti", scrivono, sostenendo la fine del lavoro di propaganda. Il passo successivo, si legge nel manifesto, "è prendere tutte le misure pratiche possibili per trovarli e reclutarli".

Il loro compito, spiegano, "non è nell’immediato conquistare le masse" ma "conquistare gli elementi più avanzati con coscienza di classe" e gli obiettivi, proseguono, "possono essere raggiunti solo attraverso una lotta implacabile, che può avere successo solo quando conduca all’esproprio dei banchieri e dei capitalisti". Si rifanno alle teorie estreme di Lev Trotskii, che nella Rivoluzione russa era presidente del Soviet di San Pietroburgo, secondo le quali "nel periodo del declino capitalista, qualsiasi seria lotta per migliorare le condizioni di vita andrà inevitabilmente al di là dei limiti dei rapporti capitalisti di proprietà e dello Stato borghese".

Quindi, "proprio come in guerra le battaglie difensive possono trasformarsi in offensive, così nella lotta di classe la lotta per le rivendicazioni più immediate può, a certe condizioni, condurre a un balzo nella coscienza e a un movimento in direzione di una lotta rivoluzionaria per il potere". Torna prepotentemente il fulcro eversivo per la conquista del potere, per il ribaltamento dell'ordine costituito e della democrazia, perché "nessuna riforma potrà mai acquisire un carattere durevole a meno che non sia legata al rovesciamento dell’ordine borghese". Gli stessi concetti si ritrovano anche nelle idee dei Carc e del (nuovo) Partito Comunista Italiano, con la differenza che quest'ultimo di vanta di operare in clandestinità. Per anni queste sigle sono state in ombra, nascoste tra le pieghe della sinistra, spostandosi sempre più all'estremo.

Con i partiti ufficiali rossi che dal 2022 sono stati posti interamente all'opposizione, e hanno quindi sviluppato la necessità di instaurare una stagione di "lotta", i partiti estremisti hanno preso coraggio e si sono proposti come alternativa più dura e integerrima. La propaganda antifascista, che contrasta un fantasma del passato in modo aleatorio, per queste sigle è diventata un cavallo di Troia per giustificare ideali sovversivi di lotta e di eversione. Ma se fino a oggi tutto questo era stato solamente teorizzato, nelle piazze si iniziano a vedere le prime azioni concrete. Quanto visto a Roma è significativo in tal senso, la manifestazione ha avuto un momento di rottura nel momento in cui le sigle organizzatrici hanno lasciato il campo ai violenti.

Le scuole sono polveriere popolate da studenti indottrinati, che non riconoscono le istituzioni e le combattono. Che è esattamente quello che vogliono queste sigle, come si legge in un recente manifesto del nPci, che esplicita la necessità di "rovesciare il governo Meloni rendendo ingovernabile il Paese fino a imporre un governo d’emergenza espressione degli organismi operai e popolari e del resto delle masse organizzate". Proposito che i Carc sembra abbiano portato in piazza il 5 ottobre, come si legge nella loro rivendicazione: "Quando vige un ordine sociale ingiusto, il disordine è il primo passo per instaurare un ordine sociale giusto. Questo vuol dire che ogni lotta, mobilitazione, vertenza e iniziativa contro il governo Meloni e le larghe intese devono sempre più diventare un problema d’ordine pubblico e quindi un problema politico".

E gli studenti, in tal senso, si prestano a essere carne da macello, così come lo sono stati nel Ventennio. Il rischio escalation è concreto e non è più solo una minaccia teorica: "Questa la via da perseguire nell’autunno caldo che si preannuncia rovente".

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