Elezioni europee 2014: il 40% che non portò bene a Renzi

L'ingresso ufficiale nella politica attiva nazionale dell'ex sindaco di Firenze (segretario del Pd e nuovo presidente del Consiglio) spariglia completamente le carte e gli consente di ottenere un risultato irripetibile: Grillo viene doppiato. Due anni e mezzo dopo, però, perderà sonoramente il referendum costituzionale

Elezioni europee 2014: il 40% che non portò bene a Renzi

Difficilmente in una qualsiasi competizione elettorale che si tiene in Italia si riesce a decretare unanimemente il vincitore assoluto di una determinata battaglia alle urne. Così come è altrettanto complicato riuscire a immaginare che quello stesso indiscutibile trionfatore riesca ad autodistruggersi politicamente nel giro di due anni scarsi. Eppure, è proprio quello che è capitato a Matteo Renzi alle elezioni europee del 2014: quel 40,8% ottenuto il 25 maggio di dieci anni fa se da un lato rimane (e chissà ancora per quanto tempo resterà) la più ampia percentuale di voti presa da una lista italiana all'appuntamento ai seggi per il rinnovo dell'Europarlamento, dall'altro determinerà anche una delle più repentine discese di consensi da parte di un singolo partito.

La crisi finanziaria nell'Ue

I fatti sono sostanzialmente recenti, ma sembra passata un'era geologica da quella primavera di un decennio fa. La crisi dell'Eurozona è ancora in corso ma, anche se ha interessato la maggior parte degli Stati membri dell'UE, le economie più colpite restanno quelle del sud dell'Europa, in particolare Grecia, Italia, Spagna e Portogallo, ma anche di Irlanda (i cosiddetti "PIGS"). Le durissime misure di austerità imposte a questi Paesi hanno provocato un significativo crollo del consenso dell'opinione pubblica nei confronti delle istituzioni comunitarie: complessivamente, del resto, solo quattro degli allora 28 paesi membri giudicano positivamente la leadership Ue.

José Manuel Barroso, presidente uscente della Commissione europea, sostiene che si sta assistendo ad un "aumento dell'estremismo dall'estrema destra e dall'estrema sinistra" e prevede che l'elezione potrebbe trasformarsi in "un festival di rimproveri" a suo parere infondati "contro l'Europa". Il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, descrive i partiti euroscettici come "senza cervello" in quanto potrebbero rivelarsi "pericolosi per l'Unione europea nel suo insieme". Nigel Farage, leader dell'Ukip, non ci sta a questi insulti e indica il 26 maggio 2014 come una data in cui si terrà una "battaglia fra le democrazie nazionali e la burocrazia statale Ue". Prodromi della lotta per la Brexit che il politico inglese riuscirà a ottenere due anni più tardi.

I 5 Stelle sembrano avere il vento in poppa

Il timore è che le forze populiste anti-Ue di destra e sinistra possano tutti insieme addirittura raddoppiare il numero di seggi ottenuti nella legislatura 2009-2014. In Italia, da questo punto di vista, gli occhi sono tutti puntati al Movimento 5 Stelle. Reduce dal boom alle Politiche di un anno prima, la comunità fondata e ancora comandata da Beppe Grillo si prepara al suo debutto in Europa con un'anima movimentista che è fortemente radicata ai valori euroscettici: prova ne è la richiesta del comico genovese di introdurre la possibilità di indire un referendum consultivo per chiedere ai cittadini italiani se fosse d'accordo o meno se lasciare la moneta unica. La campagna elettorale diventa asperrima, con Grillo che (non si sa bene per quale preciso motivo) ritiene particolarmente divertente ripetere frequentemente durante i comizi il proprio tormentone "Io sono oltre Hitler".

I sondaggi promettono un testa a testa tra il M5s e il Pd, come era avvenuto nel febbraio 2013 (25% ciascuno). I 5 Stelle credono addirittura nel sorpasso, tanto da convincere lo stesso Grillo a presentarsi fisicamente negli studi televisivi come non gli capitava da oltre vent'anni per convincere più persone a votarlo: celebre il faccia a faccia con Bruno Vespa sulle poltrone bianche di "Porta a Porta", senza dimenticare le interviste rilasciata anche a SkyTg24 e al TgLa7 di Enrico Mentana. Piccolo particolare: i grillini non hanno più loro competitor un Partito Democratico "semi-morente" dopo il flop di Bersani e tutto il marasma per organizzare l'intricatissima successione a segretario. Ora al Nazareno - e a Palazzo Chigi - è appena arrivato un nuovo leader deciso più che mai a riportare in casa dem tutti quei voti che erano stati regalati agli odiatissimi pentastellati: Matteo Renzi. E la situazione cambia radicalmente.

I risultati delle elezioni euroee 2014

Vincitore delle primarie nel dicembre 2013 e nuovo presidente del Consiglio nel febbraio 2014 dopo Letta (archiviando rapidamente l'hastag #enricostaisereno), l'ex sindaco di Firenze ruba la scena a Grillo e si riprende con gli interessi tutto quel consenso perso in maniera traumatica dal Pd. In questo, si rivela positivamente anche il contributo offerto dalla promessa degli 80 euro per i lavoratori con reddito complessivo tra gli 8.174 e i 24mila euro. Ecco quindi come i risultati del voto per il Pd diventino spiazzanti e rivoluzionari: 40,81%, che rappresenta il risultato in percentuale più alto mai raggiunto ad una elezione riguardante l'intero territorio italiano da un partito di centrosinistra. È inoltre il terzo migliore risultato percentuale di sempre di un partito italiano, dopo quelli conseguiti dalla Dc alle elezioni politiche del 1948 (col 48,5%) e 1958 (col 42,4%). Anche se in questi due casi l'affluenza fu del 93% contro il 57,22% di dieci anni fa. Ottimo risultato, ma poi pessime le conseguenze: il 4 dicembre 2016, difatti, gli italiani costringeranno Renzi alle dimissioni da premier dopo la sua sconfitta al referendum costituzionale sull'abolizione del Senato elettivo e sul cambiamento del Titolo V.

Per tutti gli altri sarebbe offensivo dire che rimasero solo le briciole, ma di certo non restò molto. Il Movimento 5 Stelle deluse le attese degli analisti e ottenne il risultato peggiore della sua storia fino ad allora in un'elezione su base nazionale, fermandosi al 21,16%. Forza Italia arrivò invece al 16,81% nonostante una campagna elettorale azzoppata per Silvio Berlusconi, nel frattempo decaduto da senatore e finito ai servizi sociali dopo la condanna definitiva nel processo Mediaset. Molto più in basso ci furono la Lega guidata da pochissimi mesi da Matteo Salvini, successore alla leadership del Carroccio dopo Umberto Bossi e Roberto Maroni (6,15%), il cartello formato da Udc e Nuovo Centrodestra (4,38%) e soprattutto il gruppone della sinistra radicale - "L'Altra Europa con Tsipras" - che riuscì a superare la soglia di sbarramento per pochissime migliaia di voti (alla fine ottenne il 4,04%). Solo 3,67% (e niente elezioni) per Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni, che però avrà ampiamente modo di riscattarsi in futuro.

L'Europa cambia metodo sulla Commissione

Grazie al risultato ottenuto, il Pd espresse la delegazione nazionale più numerosa al Parlamento Europeo (superando anche la Cdu di Angela Merkel) e riuscì a indicare l'Alto rappresentante per gli Affari Esteri: Federica Mogherini. Il gruppo che ottenne però più deputati fu il Partito Popolare Europeo: arrivò a 221 seggi, vicino al 30% dell'intera aula. I socialisti, nonostante il risultato dei dem italiani, si fermarono al 25,4% cioè a 191 seggi. I liberali ne ottennero 67, la sinistra radicale 52, i Verdi 50, e i tre partiti di ispirazione populista in tutto 150 parlamentari. Popolari e Socialisti decisero nuovamente di unirsi in una grande coalizione: la stessa che aveva già controllato i lavori del Parlamento nella legislatura 2009-2014.

Nel frattempo, il trattato di Lisbona (entrato in vigore nel dicembre 2009) prevede che il parlamento europeo debba eleggere il presidente della Commissione europea, capo dell'esecutivo europeo, sulla base di una proposta fatta dal Consiglio europeo, prendendo in considerazione le elezioni europee (articolo 17, paragrafo 7 della Teu). Queste disposizioni vengono applicate per la prima volta proprio durante le elezioni europee del 2014. I maggiori partiti così designarono un candidato al ruolo di presidente.

Jean-Claude Juncker per il Ppe, Martin Schulz per il Pse, Ska Keller per i I Verdi, Alexis Tsipras per la Sinistra e Guy Verhofstadt per i Liberali. Il primo di questi, già primo ministro lussemburghese per diciotto anni, vincerà la competizione e guiderà la Ue fino al 2019.

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