L'intervento di una coalizione araba in Yemen rappresentava nei piani di chi l'ha progettato la guerra perfetta per regalare prestigio internazionale all'Arabia Saudita e a Salman Bin Abdulaziz Al Saud, il sovrano insediatosi a fine gennaio scorso sul trono di Riad. Non a caso l'intervento militare ha inizio in marzo quando, solo due mesi dopo l'incoronazione del monarca, Riad lancia l'operazione «tempesta decisiva» contro le postazioni dei ribelli Houti e le forze dell'ex presidente Alì Abdullah Saleh. Un'operazione guidata dai cacciabombardieri sauditi e appoggiata da quelli di Marocco, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Sudan, Bahrain e Qatar. Una «tempesta decisiva» non solo per riconquistare il porto di Aden e restituire una porzione di territorio al deposto presidente Abed Rabbo Mansour Hadi, ma anche per confermare e rafforzare il ruolo guida dell'Arabia Saudita alla testa dei paesi di fede musulmano-sunnita. Un'Arabia Saudita che, denunciando l'appoggio dell'Iran ai ribelli Houti, intende anche aprire un nuovo fronte nello scontro con la Repubblica islamica, capofila della fede sciita.
Sette mesi dopo, però, quella guerra è ben lontana dall'aver conseguito i risultati prefissati. E non solo perché, a tutt'oggi, l'Arabia Saudita non riesce a offrire prove convincenti sull'appoggio di Teheran ad Ansar Allah (Partigiani di Dio), la formazione delle tribù Houti che a marzo è riuscita a mettere le mani, d'intesa con le forze del vecchio presidente Saleh, sia sulla capitale Sanaa, sia sul porto di Aden. La cacciata a luglio degli Houti e delle forze di Saleh dal porto di Aden e dai territori meridionali seguiti, il 22 settembre, dal ritorno ad Aden - momentaneo e puramente simbolico - del deposto presidente Abed Rabbo Mansour Hadi a bordo di un aereo militare saudita, sono tutt'altro che vicini dall'avere risolto il conflitto yemenita. E ad Aden la situazione è comunque ben lontana dall'essere sotto il controllo delle forze filo saudite. Interi quartieri della città e vaste zone circostanti sono diventate i nuovi feudi di Al Qaida e delle locali cellule dello Stato islamico. Una situazione estremamente pericolosa per un'Arabia Saudita dove Al Qaida opera da tempo e dove lo Stato islamico approfitta per insinuarsi.
A livello politico la situazione appare ancor più insidiosa. I bombardamenti imprecisi e indiscriminati messi a segno, come evidenziato nel reportage che pubblichiamo, dalle forze saudite regalano nuovi consensi ai ribelli Houti e alle forze di Saleh, rendendo nel contempo sempre più complesso l'intervento nelle zone settentrionali delle fazioni yemenite fedeli al presidente Abed Mansouri Hadi. Anche perché gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrain, gli unici fra i membri della coalizione a guida saudita ad avere inviato una forza di terra, si muovono con estrema prudenza dopo il rovescio subito nella provincia di Maarib. Lì lo scorso 4 settembre un missile - lanciato dalle forze Houti - ha colpito un deposito di munizioni uccidendo in un colpo solo 45 militari degli Emirati e 5 del Bahrain. Un massacro avvenuto, paradossalmente, all'interno di un caposaldo cruciale per aprire la strada all'avanzata verso Sanaa. Un massacro che ha immediatamente contribuito a far rinviare il progetto di una vasta operazione di terra nel nord. Il tutto mentre i raid aerei continuano a mietere vittime innocenti tra la popolazione civile.
E così mentre l'Iran resta
tranquillamente alla finestra, l'Arabia Saudita si ritrova imbottigliata in una guerra sempre più difficile da vincere. Dove rischia di alienarsi persino l'appoggio delle popolazioni sunnite che si prefiggeva di liberare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.