Più che il conflitto nella parte sud-orientale del Paese, o la posizione americana nei riguardi delle milizie curde che combattono l’Isis nel nord della Siria, che Ankara considera un tutt’uno con il Partito curdo dei lavoratori (Pkk), etichettato come organizzazione terroristica, è ora un religioso in esilio volontario a minacciare di mettere a rischio i rapporti tra la Turchia e gli Stati Uniti.
Dal 15 luglio, quando Ankara e Istanbul sono state colte di sorpresa da jet che volavano bassi nei cieli, carri armati i cui cingolati occupavano l’asfalto, in un tentato colpo di Stato destinato a fallire, la Turchia ha dato il via a una repressione contro un gruppo che considera responsabile per quanto accaduto, Hizmet, e contro il suo fondatore Fethullah Gulen, un predicatore un tempo molto vicino al presidente Erdogan e ora in un esilio auto-imposto in Pennsylvania.
Prove certe di un diretto coinvolgimento di Gulen devono ancora essere trovate, ma le autorità turche, sostenute nella loro convinzione dai partiti all’opposizione, hanno pochi dubbi sul responsabile del tentato golpe. L’idea che i gulenisti siano le menti del fallito colpo di Stato è popolare anche tra la popolazione, divisa su molte questioni, ma unita nel condannare quello che è stato visto come un attacco a una democrazia, per quanto "fallata" possa essere.
In una schermaglia a distanza combattuta sulle pagine del New York Times, tanto Gulen quanto il partito di maggioranza in Turchia, l’Akp di Erdogan, hanno difeso il loro punto di vista. Mentre il predicatore ha proclamato ancora la sua innocenza, condannando "ogni attacco contro la democrazia turca" e dipingendo il suo movimento come fautore di una lettura moderata dell’islam, in risposta al portavoce del presidente turco, le autorità di Ankara hanno chiesto di "concedere l'estradizione per Fetullah Gulen, un cittadino turco, in Turchia, come è concesso a causa della minaccia attuale".
In un’intervista con il Wall Street Journal, Binali Yildirim, primo ministro turco, ha espresso il suo malcontento nei confronti della reazione generale degli Stati Uniti al colpo di Stato, quella che ha definito una "mancanza di sostegno da spezzare il cuore", paragonando quanto il suo Paese ha appena passato all’11 settembre. "Non possiamo davvero capire perché gli Stati Uniti non possano consegnarci questo individuo", ha detto, parlando di prove "lampanti" del suo coinvolgimento nel piano per rovesciare il governo controllato dall’Akp.
Una fonte citata dal Wall Street Journal chiarisce che gli Stati Uniti non sono convinti dalle prove che la Turchia sostiene di avere per gıistificare un’estradizione. "Abbiamo le testimonianze del fatto che sospetti membri del golpe abbiano ricevuto ordini da questo individuo", respinge le critiche Yildirim. Il generale Hulusi Akar, il capo di stato maggiore preso ostaggio durante il golpe, sostiene che gli sia stata offerta la possibilità di parlare direttamente con Gulen e unirsi ai putschisti.
Nel mentre, i Paesi occidentali sono preoccupati anche da quella che è stata apertamente etichettata come una "caccia alle streghe", che negli ultimi giorni ha portato a migliaia di fermi per chi è considerato vicino al movimento di Gulen tra i militari e a centinaia di giudici e membri del personale accademico sospesi dal loro lavoro.
Sindacati, scuole, università e associazioni sono state chiuse e anche i giornalisti sono finiti nel mirino, accusati di legami con l'ex alleato dell'Akp. Tra gli ultimi fermi quelli di Hanim Busra Erdal, ex giornalista dello Zaman, vicino a Gulen, ma anche la veterana Nazli Ilicak, licenziata tre anni fa dal pro-governativo Sabah per critiche a ministri coinvolti in uno scandalo per corruzione. Un caso reale, ma che esplose - così si ritiene - per un'inchiesta pilotata da uomini vicini a Hizmet.
Organismi internazionali come Amnesty sono preoccupati per rapporti di "pestaggi e torture, stupri inclusi, in luoghi di detenzione ufficiali e no nel Paese". Accuse che il governo turco nega con forza, ma che, secondo Amnesty, sono sostenute da "prove credibili" di abusi contro i prigionieri. Un decreto firmato sotto una legge d’emergenza che sarà in vigore per tre mesi permette di trattenere i detenuti "senza accuse da quattro a 30 giorni".
Emma Sinclair Web, direttore di Human Rights Watch per la Turchia, ha sostenuto di recente che il decreto va "ben oltre il legittimo obiettivo di stabilire responsabilità per il golpe". Anche Kemal Kilicdaroglu, leader del principale partito d’opposizione, che pure nel momento del colpo di Stato si è schierato nettamente contro e a sostegno della democrazia, come ogni partito in Turchia, ribadendo poi che l’unità nazionale è la priorità, ha espresso la sua preoccupazione, chiedendo che si rispetti "lo stato di diritto".
La questione dell'estradizione potrebbe avere conseguenze importanti per le relazioni internazionali.
Se in passato il premier Yildirim ha sostenuto che l'America resta un "amico e partner strategico", l'ipotesi che un attrito ulteriore possa avvicinare ulteriormente Ankara a Mosca non è da sottovalutare. Chiusa la crisi diplomatica apertasi con l'abbattimento di un jet russo da parte dell'aviazione turca, ad agosto Erdogan volerà in Russia. E sul tavolo non ci saranno solo questioni economiche.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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