Quella dei fratelli Occhionero – che senza tema di smentita si può definire la più grande e longeva operazione di cyberspionaggio di cui si sia mai venuti a conoscenza in Italia – è una vicenda dalle molte sfaccettature. Un gioco di specchi difficile da decifrare, una spy story degna di essere raccontata.
Ma chi sono davvero Giulio e Francesca Maria Occhionero? Per cercare di comprendere la portata della loro influenza, è utile richiamare alla memoria una vicenda che li ha visti protagonisti molto tempo prima di finire al centro della bufera. Dobbiamo tornare al 2004. I due fratelli sono titolari della “Westlands S.r.l. limited” e della controllata “Sire”, due società che si occupano di investimenti.
In quel periodo, i due – poco più che trentenni - si spendono attivamente per accaparrarsi la realizzazione di un’infrastruttura per uno dei siti maggiormente strategici del nostro Paese: il porto di Taranto.
Proprio con la “Westlands” e agevolati dalla presenza di supporter americani, nel 2004 gli Occhionero si presentano all’allora presidente dell’Autorità Portuale di Taranto, Michele Conte, al quale si propongono per la realizzazione di una costosa infrastruttura portuale logistica per lo stoccaggio di container e l’automazione del trattamento delle merci. Dettaglio di non poco conto: i due fratelli vantano un portafoglio di 800 milioni di dollari, derivante dai fondi pensione statunitensi e coperto da due banche d’affari, la Bear Stearns (la prima a fallire nella crisi dei mutui americani nel 2008) e la Royal Bank of Scotland.
Rapporti ai massimi livelli
Insomma, i due hanno le spalle ben coperte. Ma non soltanto dalle due banche. A perorare la loro causa c’è un personaggio di non poco conto: Barbara A. Leaf, all’epoca consigliere politico dell’ambasciata Usa a Roma. I rapporti di Giulio e Francesca Maria Occhionero con gli Stati Uniti sembrano dunque radicati ai massimi livelli.
Una nota di colore: oggi Giulio Occhionero, condannato in primo grado e in attesa di appello, dopo aver scontato una breve pena detentiva in Italia si è trasferito ad Abu Dhabi dove opera come analista in finanza computazionale. Ed è proprio ad Abu Dhabi che dal 2014 al 2018, Barbara A. Leaf ha ricoperto la carica di ambasciatrice degli Stati Uniti negli Emirati Arabi Uniti, mentre oggi è diventata assistente al segretario di Stato per gli affari del vicino Oriente.
Ad ogni modo, per assicurarsi l’appalto del Porto di Taranto, i fratelli Occhionero spendono anche il nome della Automated Terminal Systems di Washington, società che si occupa della progettazione e dello sviluppo di automazione industriale. Nella loro offerta c’è l’allargamento di un’infrastruttura significativa in ambito territoriale e nazionale, la creazione di posti di lavoro e la riqualificazione della zona ovest del porto. Insomma, un pacchetto allettante.
L’iniziativa accende l’interesse di imprese ed enti locali, cosicché Michele Conte, forse poco convinto dalla vaghezza delle informazioni sull’ingente portafoglio, contatta il consolato americano a Napoli. I suoi interlocutori si dichiarano all’oscuro dei fatti. Di questa operazione – come riportato da Conte in un’intervista rilasciata nel 2017 a Formiche - non sanno nulla.
Strane pressioni e marcia indietro
L’incertezza dei fondi verificata da Conte e il piano regolatore stringente non consentono l’avvio dell’operazione, manca infatti lo studio preliminare di fattibilità. Tuttavia, nel 2007 si cerca di rimediare a questo freno: Conte – come rivela lui stesso a Carlo Bonini di Repubblica - riceve diverse telefonate che cercano di spingerlo verso il progetto dei fratelli Occhionero, inoltre una modifica nella legge finanziaria del 2007 riguarderà proprio il porto di Taranto.
La modifica in oggetto autorizza la realizzazione di infrastrutture portuali strategiche, derogando così il piano regolatore del Porto di Taranto. Conte sarà poi convocato a Roma dall’allora Ministro per le infrastrutture Antonio Di Pietro, incontro nel quale – come sempre rivelato a Repubblica - verrà sollecitato ad attivare il progetto.
Nonostante tutto, il progetto esecutivo non arriverà e i fratelli Occhionero peroreranno una causa per abuso d’ufficio nei confronti del presidente dell’Autorità Portuale di Taranto, Michele Conte, causa poi archiviata dal PM di Taranto, Remo Epifani.
Il ruolo degli Usa
A questo punto, alcune riflessioni sono necessarie. Se lo scopo dell’operazione è piuttosto chiaro – ovvero quello di accaparrarsi un appalto milionario -, meno chiaro è il ruolo giocato dagli Stati Uniti attraverso i due fratelli. Che interesse potevano avere gli americani a sponsorizzare tanto caldamente Giulio e Francesca Maria Occhionero?
La risposta va probabilmente ricercata nella visione strategica degli Usa sul Mediterraneo, tanto più che pochi anni dopo – siamo nel 2019 - un’iniziativa tutta italiana ci spingerà verso la Bri (Belt & Road Initiative) cinese.
L’egemonia sul Mediterraneo è infatti al centro di una lotta per la primacy commerciale tra le maggiori potenze mondiali. È dato consolidato che la penisola italiana, con i suoi porti situati lungo la costa tirrenica, tra cui Genova e Livorno, nonché quelli localizzati lungo la costa adriatica, tra cui il porto di Trieste, costituiscono uno snodo di accesso fondamentale per la rotta marittima, tanto più nella loro funzione di gateway verso l’Europa.
Sappiamo oggi che gli Stati Uniti hanno ampiamente manifestato la loro preoccupazione sulle strategie cinesi nel Mediterraneo. Al contempo, hanno esercitato la loro influenza per stringere rapporti volti a mantenere il controllo dell’area mediterranea, sul canale di Suez, sul futuro hub di snodo da e verso l’Europa. E benché gli investimenti sulle infrastrutture mediterranee vengano effettuati da operatori civili, non vanno sottovalutate le implicazioni delle funzionalità dual-use in ambito civile-militare.
Non diciamo certo che sia questo il caso di cui ci stiamo occupando, non abbiamo elementi per dimostrarlo, ma di certo questo è stato – ed è – il modus operandi degli Usa quando in gioco ci sono interessi geopolitici.
Una centrale dello spionaggio
C’è di più. Di questa vicenda si è occupato anche il Cnaipic. Il 16 marzo 2016 – circa due mesi dopo l’attacco a Enav che ha dato avvio alle indagini – viene redatta una dettagliata annotazione in cui si scava nelle attività della Westlands Securities relativamente al tentato affare con il porto di Taranto. Il documento, oggi declassificato, offre uno spaccato interessante e non si sofferma al solo aspetto di un possibile rinnovamento delle infrastrutture commerciali del porto: prendendo spunto da articoli di giornale per lo più locali, l’autore dell’annotazione sottolinea la possibilità concreta che la Westlands Securities – nella persona di Giulio Occhionero (che risulta presente a Taranto nelle due occasioni in cui sarebbero state presenti anche le delegazioni americane, ndr) – abbia studiato un “piano di fattibilità per l’insediamento di una nuova base navale sotto il comando Usa in grado di ospitare anche sottomarini nucleari”. Eventualità che – come sottolineato nel documento – avrebbe fatto drizzare le antenne dell’Onorevole Massimo Ostillio (Udeur, ndr), tarantino, già sottosegretario alla Difesa nei governi D’Alema II e D’Amato II, secondo il quale “in realtà la nuova struttura americana potrebbe coprire un ruolo nevralgico dei sofisticati sistemi di spionaggio a stelle e strisce”.
Occorre tuttavia molta cautela. Il rischio concreto, in casi come questo, è quello di prestare il fianco a teorie dell’apocalisse senza fondamento alcuno.
Un dato però possiamo considerarlo certo: già all’epoca della proposta degli Occhionero, una revisione generale delle infrastrutture portuali – soprattutto di quelle informatiche - sarebbe stata più che necessaria. Ricordiamo infatti che il Porto di Taranto fu oggetto di diversi attacchi hacker. Uno di questi fu portato a termine proprio dal malware Eye Pyramid.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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