La nonnina Marie Noël che cucinava poesie a fuoco lento (e sacro)

Dalla provincia francese conquistò Montherlant e il grande pubblico. Ecco il suo "Diario intimo"

La nonnina Marie Noël che cucinava poesie a fuoco lento (e sacro)

Ad Auxerre, dove è nata, nel febbraio del 1883, le hanno dedicato una statua. Cappellino, sciarpa abnorme, cappotto lungo, ombrello. Dalle gambe sbuca un cane di misera stazza; dalla borsetta un mazzo di fiori. La vecchina dallo sguardo estatico si chiama Marie Noël: sembra Maga Magò, sembra uscita da un cartone della Disney. Lo pseudonimo in realtà, si chiama Marie Rouget cela tuttavia la tragedia: il giorno di Natale (Noël) del 1904 viene trovato morto, nella casa di famiglia, il fratello piccolo, Eugène. Aveva dodici anni. Lei, Marie, crolla, crepita nella crisi; vuole che quel giorno le si imprima a fuoco nel nome, per sempre. Entra in contatto con l'abate Mugnier, si dà alle opere pie, presta aiuto ai derelitti, vive all'ombra della cattedrale di Auxerre, scrive. Dotata di una bellezza bruta, mascolina, non si sposò mai si dice, a causa di un amore fallito.

Che storia incredibile quella di Marie Noël, raccolta tra i veli, nella tovaglia in cucina. Autrice di inni e oratori tra i più potenti del Novecento spesso messi in musica , Marie restò piantata in provincia, a piantumare gesti di santità. Cominciò a pubblicare dagli anni Venti, prima per Stock poi con Gallimard: Les Chansons et les Heures (1922), Le Rosaire des joies (1930), Chants sauvages (1936), L'Âme en peine (1954). Trovò un lettore entusiasta in Henry de Montherlant, noto per il disprezzo con cui ornava i contemporanei. Fu Jeanne Sandelion, scrittrice di ineguale valore, tra le tante amanti di penna di Montherlant, a presentargliela; lui ne fu folgorato e ne scrisse, con tutta l'enfasi possibile. «Per quel che mi riguarda, Marie Noël è il nostro più grande poeta francese vivente. Per lo meno, è il solo che mi tocca... Sembra affondare nella Francia più arcana e il cristianesimo che la domina non infastidisce i versi. Alcune poesie sono tra le più belle mai scritte in lingua francese».

Il despota della scrittura, il genio neopagano, che amava l'antica Roma e le gare coi tori, i maestri della guerra del Rinascimento, l'icona di Antinoo e le maschere funebri in bronzo, s'inchinava al cospetto di una donnina che andava a Messa tutti i giorni, estranea alla mondanità e ai culti della cultura. Non credo adorasse in lei il candore; piuttosto: l'oscurità che giustifica gli innocenti, la brama dietro la fede, un credo dalle unghie all'erta. Tra le poesie di Marie Noël preferiva quella intitolata Accusation, che attacca così: «Ho marciato dietro la tua legge, ti ho tallonato/ nella piena luce del giorno... O mio Dio, mi accuso/ perché non sono che una menzogna, perché ho vissuto/ l'inganno di credermi migliore, di credermi felice».

Nei decenni, fioccarono premi e onorificenze. Il generale de Gaulle la gallonò con la Légion d'honneur, nel 1960; due anni dopo le toccò il Grand prix de poésie de l'Académie française. Quella donna, tenace come il fuoco, umile, diventò un simbolo; la sua singolarità attrasse lettori, curiosi, fedeli. Una volta disse che il «capolavoro», perché accada, necessita di tempo. «Bisogna lasciarlo crogiolare, cuocere a fuoco lento. Tutte le opere d'arte sono lente. Anche il bucato o la cucina... di una volta». Si rammaricava di aver «tradito la Solitudine». La nominava così, con la S maiuscola. «La mia Solitudine, il mio Dio selvaggio, la Grazia che chiamava me sola, il Canto che io sola intendevo». Bisogna proteggersi dal prossimo, dall'assalto degli «altri», diceva.

Morì due giorni prima del Natale del 1967. Nel 2017 l'arcivescovo di Auxerre, Hervé Giraud, ha inaugurato l'indagine per la beatificazione di questa inafferrabile poetessa.

In Italia, sostanzialmente, l'opera di Marie Noël è sconosciuta, non ha attecchito neanche nei campi pur redditizi dell'editoria cattolica. Nel 1961 l'editore torinese Sei pubblicò il Diario segreto di Marie Noël nella traduzione di Adriana Zarri; quel testo, a tratti sconvolgente uscito, in origine, nel 1959 come Notes intimes , ritorna ora (era ora) come Vagabonda fra terra e cielo. Diario intimo per le Edizioni Sanpino (pagg. 356, euro 25). Viene fuori il carattere predatorio, guerresco del cristianesimo di Marie Noël, che scoscende l'inaccettabile. La poetessa, per dire, denigra la pratica cimiteriale della tomba, «ultima roccaforte, estrema resistenza dell'io umano»: che il corpo morto, spoglio, sia seppellito nella nuda terra, dacché «il cadavere ha bisogno dei vermi. È necessario che marcisca. Che sia dissolto. È necessario che la carne nutriente renda alla terra, sua nutrice, il latte che ne ha ricevuto». E poi: loda il bacillo di Koch, che provoca la tubercolosi, «meraviglia di Dio quanto l'Uomo e l'Angelo. Il bacillo rode il seno di una giovane madre, la gola di un apostolo e dice: Dio è buono».

Poiché è davvero cristiana, Marie Noël ci spiazza, è portavoce dello sconvolgimento, reca la conversione. La logica del mondo è muta al cospetto di Dio. Dunque, la resa («Bisogna diventare un'Ostia, questo niente di Dio, questa povera cosa che gli uomini mangiano») e la resistenza («Io non voglio essere rinchiusa nel Bene, non uscire mai dal Bene, camminare a comando, dietro ai tamburi del Bene»).

Va letto di continuo questo libro, per domesticarsi all'impossibile, per ruminare il miracolo, congedarsi dall'ovvio spirituale e scendere nell'agone, nell'agonia. Lo devono leggere tutti, soprattutto i preti. Domenica scorsa ero a Messa. Abito in un borgo alla frontiera dei boschi; scarse centinaia di abitanti; la chiesa, sproporzionata ai radi fedeli, è intitolata a San Michele Arcangelo. Il prete faunesco pari a un rospo al posto di interpretare le letture, si rivolge ai cresimandi, lì per obbligo: faranno una camminata con giochi a supporto tra qualche settimana, si portino le scarpe di ricambio. Ora, io sono nulla al cospetto di quell'uomo che ha votato la vita a Dio eppure, perché quei ragazzini dovrebbero credere in Dio, perché andare a Messa, perché, perché, perché, se quel prete si vergogna di dire Dio, dice che Gesù è «un amico», confida nel gioco e non nel giogo, nasconde la verità terribile, il Cristo che viene notte-e-giorno nelle forme più truci, nel corvo che ti divora lo stomaco, nella volpe che ti morde la faccia?

Marie Noël rimpiangeva l'antica liturgia, che rimpinguava il mistero. «Benché ignorante... sono attaccata al latino dei nostri uffici». Chiamava «scorrimento di grazia» il rito antico: «Nel canto liturgico trasmessoci dal fondo dei secoli, da tante bocche beate, c'è un Dono quasi sacramentale dello Spirito di Pentecoste che parlava misteriosamente alle anime semplici attraverso le parole sacre che ci vogliono togliere con il pretesto che non saremmo abbastanza istruiti per poterle esattamente intendere». Sapeva che «l'Amore è una disobbedienza alla legge del Creatore» e che Dio non si adatta ai fini del benessere sociale. Nel 1933, lamentando la morte della contessa di Noailles, poetessa, bellissima («Come ha potuto morire come un'altra? Era nata così immortale! Mi sembra che essa debba risorgere»), atea, amica di Proust e di Valéry, scrisse che non poteva «non volere Dio». «E come avrebbe potuto trovarlo sotto il viso consunto che noi Gli prestiamo? Era troppo grande. Cercava altrove».

Eppure, Marie Noël va in Chiesa e prega per l'aristocratica senzadio. «Datele presto da bere», implora. «Ha avuto tanta sete!». Ho sete: rimbomba il singulto del Crocefisso dai Vangeli.

Che donna spregiudicata, Marie Noël. La faina di Dio.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica