"Ci considerava terroristi". Cosa c'è davvero dietro il commento della regina Elisabetta su Israele

La memoria della regina Elisabetta è stata oscurata dalle accuse di disprezzo e boicottaggio silenzioso nei confronti di Israele. Ma la verità è un'altra

"Ci considerava terroristi". Cosa c'è davvero dietro il commento della regina Elisabetta su Israele

Nei suoi 70 anni sul trono britannico la regina Elisabetta ha visitato 117 nazioni e fatto oltre 150 viaggi nei Paesi del Commonwealth, come ricorda Agi.it. Ha percorso 1,7 milioni di chilometri e compiuto il giro del mondo ben 42 volte fino al 2015, anno in cui ha interrotto definitivamente i tour, ha sottolineato il Telegraph. Sua Maestà, però, non ha mai messo piede in Israele. Un fatto curioso per alcuni, un vero e proprio atto di snobismo per altri. In ogni caso una mancanza che continua a far rumore e da cui hanno avuto origine dei commenti molto forti su una presunta ostilità della sovrana nei confronti dello Stato ebraico.

“Terroristi o figli di terroristi”

Lo scorso 9 dicembre, su Jewis News, è stato riportato un controverso commento espresso dall’ex presidente israeliano Reuven Rivlin (in carica dal 2014 al 2021) a margine della cena di gala per i 100 anni del Technion Institute of Technology, tenutasi al Royal Lancaster Hotel di Londra.

A proposito delle relazioni diplomatiche tra Elisabetta II e Israele Rivlin, esponente del partito Likud, ha dichiarato: “Il rapporto noi e la regina Elisabetta era un po’ complicato, perché lei credeva che ognuno di noi fosse o un terrorista, o il figlio di un terrorista”. Una frase che non lascia spazio ad alcuna interpretazione. L’ex presidente ha aggiunto: “Si è rifiutata di accettare qualunque funzionario israeliano, a meno che non si trattasse di occasioni internazionali”. Rivlin ha anche sottolineato che, al contrario, i rapporti con Carlo III sarebbero “molto amichevoli”.

Questa opinione su Elisabetta II sarebbe suffragata, secondo alcuni, dal fatto che la defunta sovrana non ha mai visitato Israele, mentre ha compiuto diversi viaggi nei Paesi arabi. Inoltre ci sono due aneddoti, riportati dal sito Middle East Eye, che avrebbero suscitato un certo malcontento tra gli israeliani: nel 1984 la Regina si recò in tour in Giordania. Mentre guardava la Cisgiordania al di là del fiume Giordano, la sua attenzione sarebbe stata catturata da alcuni jet israeliani in volo. “Che spavento”, avrebbe sussurrato Elisabetta. La regina Noor, moglie dell’allora Re giordano Hussein, avrebbe risposto: “È terribile”. Poi, osservando una cartina che riportava la posizione degli insediamenti ebraici, la monarca britannica avrebbe commentato: “Che mappa deprimente”.

Bastano questi episodi per accusare la regina Elisabetta di ostilità nei confronti di Israele, di “boicottaggio non ufficiale”, per dirla con il quotidiano israeliano Haaretz, addirittura di antisemitismo, come sostengono alcuni? Per la verità no. Non sappiamo se tali eventi siano accaduti davvero ed esattamente nel modo in cui sono stati riportati. Sarebbe il caso, dunque, di soppesare attentamente le parole, assicurandoci che siano sostenute dai fatti.

Una "vendetta"?

La motivazione ufficiale per cui Elisabetta II non ha mai varcato il confine dello Stato israeliano starebbe nella sicurezza. Buckingham Palace ha sempre ritenuto che un simile viaggio non fosse possibile senza una pace concreta e duratura con i palestinesi. “Finché non ci sarà una risoluzione tra Israele e l’Autorità Palestinese la royal family non potrà andare [in Israele]”, disse un ufficiale britannico anonimo al Telegraph, nel 2015.

La sovrana, poi, rappresentava la Gran Bretagna, ovvero una nazione che, almeno nella prima fase del suo regno, continuava ad avere un grande potere politico ed economico su buona parte del Medio Oriente. “Quando la defunta regina Elisabetta II salì al trono, nel febbraio 1952”, ha scritto Alex McDonald su Middle East Eye, “il Regno Unito era ancora un impero che manteneva il contro su vaste aree del pianeta e contava centinaia di migliaia di persone…buona parte del Medio Oriente e del Nord Africa…era…sotto il controllo britannico direttamente e indirettamente”.

Per esempio territori come il Kuwait o l’Oman erano governati dai britannici “de jure o de facto”, mentre Paesi come l’Egitto o la Giordania subivano comunque una forte influenza britannica. “Gran parte del controllo tradizionale esercitato dal Regno Unito sul Medio Oriente era fondato su un gruppo di monarchie che erano state imposte o sostenute dall’impero e che mantenevano forti legami con la royal family britannica”.

Non è strano, quindi, che Elisabetta abbia continuato a visitare le nazioni arabe, anche una volta diventate totalmente indipendenti. Senza contare che, dopo l’epoca coloniale, sono stati ricostruiti dei rapporti diplomatici ed economici tra Londra e il Medio Oriente (lo stesso è accaduto con i Paesi africani e asiatici prima sotto il dominio britannico).

Queste relazioni si sono evolute inevitabilmente dal passato coloniale, pur superandolo (anche perché cancellarlo, come vorrebbe qualcuno, non solo è impossibile, ma non è nemmeno la soluzione corretta se vogliamo evitare di ripetere certi errori e prendere davvero coscienza della Storia e del suo valore. Tra l’altro non possiamo fingere, in modo infantile e semplicistico, che ciò che non ci piace non esista: dobbiamo affrontarlo e trarne insegnamento se non vogliamo regredire).

Il rapporto tra la Gran Bretagna e la Palestina, inoltre, è segnato dal mandato istituito dalla Società delle Nazioni dopo il disgregamento dell’Impero Ottomano, alla fine della Prima Guerra Mondiale. Haaretz sostiene che il presunto “boicottaggio” di Elisabetta II sarebbe una “vendetta” contro gli israeliani per “la resistenza al mandato britannico”.

Il governo britannico avrebbe anche tentato di mantenersi in equilibrio tra le diverse realtà mediorientali, “aggiustando il tiro” quando necessario: visto che un viaggio in Israele della Regina avrebbe potuto compromettere le alleanze con i Paesi arabi, Buckingham Palace avrebbe cercato di mediare, decidendo di inviare nello Stato ebraico altri membri di spicco della famiglia reale (in questa prospettiva non ci sarebbe una contraddizione con quanto detto dall’insider al Telegraph nel 2015, più che altro un cambio di rotta dettato da nuove esigenze diplomatiche): nel 2018 il principe William fu il primo membro della royal family a visitare Israele dalla fine del mandato britannico in Palestina e dalla nascita dello Stato ebraico nel 1948.

Nel 2020 l’allora principe Carlo si recò al World Holocaust Forum, allo Yad Vashem, per il 75° anniversario della liberazione di Auschwitz-Birkenau, andò anche ai Territori Palestinesi Occupati e venne ricevuto sia dai leader israeliani, sia dal presidente palestinese Abu Mazen. Fece una storica visita a Betlemme, in particolare alla Chiesa della Natività (Carlo era già stato in Israele per i funerali di Yitzhak Rabin nel 1995 e di Shimon Peres nel 2016, ma non si era trattato di visite ufficiali).

Israele non sarebbe mai stato “snobbato” come scrisse David Landau in un articolo su Haaretz del 2012, riproposto nel 2018. La Corona avrebbe tentato di destreggiarsi tra le forze in gioco nel conflitto arabo-israeliano, tenendo conto di relazioni storiche, con la premura di infastidire il meno possibile i contendenti. Più facile a dirsi. Evitare le critiche è un’illusione, soprattutto in situazioni complicate come questa.

I legami della Corona britannica con Israele

Non possiamo dimenticare che la principessa Alice (1885-1969), madre del principe Filippo, trascorse tutto il periodo della Seconda Guerra Mondiale nella sua casa di Atene, dove nascose la famiglia ebrea dei Cohen dalla furia nazista. Per questo suo gesto di grande altruismo Alice venne riconosciuta come “Giusta tra le Nazioni”. A ritirare il riconoscimento allo Yad Vashem, il 30 ottobre 1994, furono il duca di Edimburgo e sua sorella Sofia (in visita privata). La madre dei due è sepolta presso il convento di Santa Maria Maddalena, sul Monte degli Ulivi a Gerusalemme.

Non solo: i Windsor usano far circoncidere i loro figli. Una tradizione avviata, sembra, dalla regina Vittoria, la quale sarebbe stata convinta che il suo casato discendesse dal Re biblico Davide. Nel suo memoir “Spare” il principe Harry ha dichiarato di essere stato “sottoposto alla procedura in tenera età”, smentendo le storie secondo cui Lady Diana si sarebbe opposta al rito. Anche Carlo III fu circonciso. Stando a quanto riporta il Telegraph la regina Elisabetta si sarebbe rivolta a un “mohel”, cioè un medico ebreo esperto nella circoncisione, Jacob Snowman (non è chiaro se William e Kate abbiano seguito la tradizione).

Infine la defunta sovrana, durante i suoi 70 anni di regno, ricevette a Palazzo diversi presidenti israeliani, tra cui Ephraim Katzir nel 1976, Chaim Herzog nel 1993, Ezer Weizman nel 1995. Nel 2008 nominò Shimon Peres Cavaliere di Gran Croce Onorario dell’Ordine di San Michele e di San Giorgio. Non basta: nel maggio 1952, come ha riportato The Times of Israel, Elisabetta aveva incontrato il rabbino capo della comunità ebraica britannica e alla sua incoronazione, il mese successivo, aveva partecipato l’ambasciatore israeliano.

Durante i festeggiamenti per il Giubileo di Platino, nel 2022, Marie van del Zyl, presidente del Consiglio dei Deputati degli Ebrei Britannici sottolineò che Sua Maestà aveva alle spalle “una lunga storia di impegno nei confronti della comunità ebraica”. Nel 2000 inaugurò il primo memoriale permanente all’Olocausto e fu patrona dello UK Holocaust Memorial Day Trust dalla sua fondazione, nel 2005, fino al 2015, quando assegnò il ruolo a Carlo, all'epoca principe di Galles.

Se Elisabetta avesse “insistito”…

“Se [la Regina] volesse visitare lo Stato ebraico”, disse ancora Landau su Haaretz nel 2012, “…potrebbe insistere e fare a modo suo. La triste, ma inevitabile conclusione, quindi, è che lei stessa sia parte di questo sgradevole, meschino intrigo britannico per negare a Israele le dolorose vestigia della legittimazione che è in [suo] potere conferire o negare, [ovvero] una visita reale”.

Il ragionamento non sembra tenere conto di alcuni particolari impossibili da ignorare: un monarca non può sempre fare tutto ciò che vuole, quando preferisce e nel modo che ritiene più adeguato. Questa libertà d’azione apparteneva, forse, ai sovrani assoluti dell’Ancient Régime (ma più spesso era relativa anche per loro). In ogni caso un Re o una Regina non dovrebbero e non potrebbero agire come semplici individui, poiché rappresentano una nazione. I tour ufficiali non vengono decisi esclusivamente dall’istituzione monarchica e tantomeno dai singoli reali.

Elisabetta II (come pure Carlo III) non poteva prescindere dal governo, impuntandosi per andare in Israele. Con buon probabilità molti esponenti della politica e della stampa avrebbero preso questa eventuale insistenza come un capriccio, se non proprio come un rifiuto della neutralità.

A Capetown, il 15 aprile 1947, durante il suo primo discorso alla nazione, l’allora principessa Elisabetta promise di dedicare “la mia intera esistenza, breve o lunga che sia, al vostro servizio e al servizio della grande famiglia imperiale alla quale tutti apparteniamo”. Soprattutto in virtù di questo giuramento la Regina non avrebbe mai fatto nulla che potesse destabilizzare il rapporto tra la Corona e il governo o incrinare l’imparzialità del suo ruolo.

Per dirla tutta la sovrana non fece mai visite di Stato né in Libano, né in Grecia. Nella “terra dei cedri” si recò, invece, il principe Filippo in ben quattro occasioni, per esempio il 20 marzo del 1967, quando inaugurò il dormitorio della Brummana High School, nella regione di Metn. Elisabetta andò con il marito in Grecia solo nel 1950, due anni prima dell’ascesa al trono, ma si trattò di una visita privata (sembra che il tour ufficiale nel Paese sia stato accuratamente evitato a causa delle complesse vicende che portarono all’abdicazione di Costantino I di Grecia e al successivo esilio della famiglia di Filippo).

Nessuno sa cosa pensasse realmente la Regina della situazione in Medio Oriente e, in particolare, del conflitto arabo-israeliano.

Tuttavia, nei suoi discorsi, in maniera più o meno indiretta, Elisabetta dedicava sempre un pensiero alla riconciliazione, come accadde nel messaggio natalizio del 2018, quando ricordò che “anche in presenza di profonde differenze trattare il prossimo con rispetto…è sempre un buon primo passo verso una maggiore comprensione…Credo che il…messaggio di pace e buona volontà per tutti non sia mai antiquato. Può essere ascoltato da tutti. Ne abbiamo bisogno più che mai”.

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