Le fragilità di Biden e il ritorno di Trump: guida alle elezioni Usa del 2024 a un anno dal voto

Mancano 365 giorni alle presidenziali americane. La sfida quasi sicuramente sarà, di nuovo, tra Joe Biden e Donald Trump. Dalle primarie alle convention, fino ai dossier più caldi: ecco cosa potrà succedere

Le fragilità di Biden e il ritorno di Trump: guida alle elezioni Usa del 2024 a un anno dal voto

Tra un anno esatto gli Stati Uniti verranno richiamati alle urne. Il 5 novembre del 2024 l'America dovrà scegliere il prossimo presidente, in un passaggio molto delicato della sua storia. Ad oggi è ancora molto presto per fare previsioni su chi potrà vincere, i sondaggi sono acerbi, la stagione delle primarie non è ancora iniziata e le sorprese, insegna la pandemia del 2020, sono dietro l'angolo. Eppure in tempi politici manca pochissimo. Capire che Paese andrà al voto, quali potranno essere i candidati e cosa ci sarà sul piatto è interessante per imparare a decifrare quello che succederà nei prossimi mesi.

Che primarie saranno

Il grande show della politica americana prenderà il via a gennaio, con l'inizio della stagione delle primarie. La macchina politica si è messa in moto molto presto e la corsa verso il voto del 2024 è iniziata già quest'anno. Democratici e soprattutto Repubblicani sono già in campagna elettorale. Per il partito dell'asinello il candidato più probabile resta l'attuale presidente Joe Biden. Nessun nome di peso ha pensato di sfidare il presidente. Per un breve periodo Robert Kennedy Jr, nipote di Bobby, ha provato a correre contro l'ex senatore del Delaware e per qualche mese ha tenuto comizi per animare la corsa in casa dem. I sondaggi lo davano tra il 15-17%. Poi a inizio ottobre Kennedy ha annunciato il ritiro dalle primarie dem, ma non dalla corsa alla presidenza. Il candidato, un avvocato con posizioni no vax e complottiste, ha scelto di correre come indipendente, una mossa che potrebbe alterare gli equilibri elettorali, dato che le sue posizioni controverse attirano sia democratici che repubblicani.

Dean Phillips
Il deputato dem Dean Phillips

Tra Biden e la nomination quasi sicura si è infilato un nuovo contendente, il deputato del Minnesota Dean Phillips. Lanciando la sua sfida al presidente il deputato di Minneapolis ha detto che Biden "ha fatto un lavoro spettacolare", ma che il partito "deve guardare al futuro" per battere l'ex presdiente Donald Trump. Per il deputato i problemi di Biden sono diversi. Prima di tutto l'età: tra un anno Biden avrà 81 anni; poi il tasso di approvazione basso, fermo a una media del 40%; infine il fatto che in molti sondaggi sia testa a testa, se non leggermente indietro con Trump. In realtà la sfida di Phillips è velleitaria. Non è noto a livello nazionale, e soprattutto è partito troppo in ritardo per sperare di dare un sussulto ai sondaggi. Come ha scritto 538 il piccolo staff del deputato fa sapere che l'obbiettivo sarebbe quello di rendere le primarie un po' dure per Biden in modo da prepararlo al rigore della campagna contro Trump. Sì, perché alla fine sembra che la sfida sarà la stessa del 2020.

All'inizio dell'anno c'è stato un momento in cui sembrava che nel campo repubblicano ci fosse battaglia. Secondo la media dei sondaggi l'ex presidente era avanti, ma tallonato dal governatore della Florida Ron DeSantis, con una forbice intorno agli 8 punti. Poi da aprile il divario ha iniziato ad allargarsi e oggi il tycoon è praticamente senza rivali. Trump guida infatti le rilevazioni nel Gop con il 58.3% delle preferenze contro il 14% di DeSantis e il 7,7% di Nikky Haley. Quarto il sorprendete Vivek Ramaswamy, ultra trumpiano radicale fermo al 4,9%. Alla corsa partecipano anche altri candidati, come il governatore del North Dakota Doug Burgum e il senatore Tim Scott, ma anche l'ex governatore del New Jersey Chris Christie e l'ex governatore del Arkansas Asa Hutchinson. Fuori dai giochi l'ex vice di Trump, Mike Pence, che ha abbandonato la corsa il 29 ottobre, con un messaggio chiaro quanto laconico: "Non è il mio momento".

candidati gop
I candidati alle primarie del gop (Da sx a dx: Trump, DeSantis, Haley, Ramaswamy)

Sondaggi, comizi e sfide in tv hanno dipinto, settimana dopo settimana, un quadro sempre più chiaro: difficile possano spuntare sorprese nella stagione delle primarie che prende il via il 15 gennaio in Iowa, per poi proseguire con New Hampshire, Nevada, South Carolina e Michigan. Già il primo round in Hawkeye State dirà molto sulla stagione. Probabilmente tutti i candidati minori si ritireranno lasciando 1-2 contendenti per Trump. DeSantis dal canto suo potrà provare a raccogliere le preferenze residue e allungare la stagione fino a marzo. Ma sarà comunque un tentativo velleitario. Questi numeri, a questo punto del percorso elettorale, sono rari. Di solito, almeno fino all’inizio delle primarie, rimane un po' di incertezza. Moltissimi elettori sono curiosi di vedere volti nuovi ai comizi, come successo in campo democratico nel 2020 con gli exploit di Pete Buttigieg e Amy Klobuchar. Stavolta è diverso.

Il tycoon è tallonato dai processi, da New York alla Florida passando per la Georgia, eppure questo non ha intaccato la sua base elettorale, anzi. Secondo un sondaggio del Schoen Cooperman Research la presa è aumentata sull'elettorato anche grazie ai processi. Il 51% degli elettori repubblicani hanno detto di essere ancora più convinti di supportarlo alle primarie rispetto dopo i guai giudiziari. Ma questa ascesa è guidata anche dalla debolezza strutturale di Joe Biden. Secondo l'analista Kristin Soltis Andreson, sempre più elettori del Gop vedono il presidente in carica come "battibile" e questo, gioco forza, li porta a convergere verso il candidato che dà più sicurezza di vittoria, Donald Trump appunto.

Cosa dicono i sondaggi su Usa 2024

Ma cosa dicono i sondaggi tra i due? Prima serve una premessa. I sondaggi non dicono oggi come si voterà tra un anno, fotografano la situazione attuale, restituiscono una cartolina destinata a sbiadirsi in pochissimo tempo. Questo non vuol dire che siano inutili, aiutano a capire gli umori dell'America. Ad oggi, a livello nazionale, Biden guida con un margine limitatissimo. Secondo la media dei sondaggi raccolta dal portale 270towin, l'attuale presidente è avanti con il 45% delle preferenze seguito da Trump al 44%. Se proviamo ad osservare gli ultimi sondaggi vediamo una certa altalenanza. Secondo un sondaggio di YouGov per l'Economist Biden sarebbe avanti di un punto, secondo invece una rilevazione della Quinnipiac University di 3. Al contrario per l'istituto HarrisX Trump sarebbe avanti di due punti. Tutte oscillazioni abbondantemente nel margine di errore. Quattro anni fa, nel novembre del 2019 i margini erano abbondantemente più ampi, ad esempio Joe Biden era avanti di 10 punti su the Donald.

Da questi due numeri si possono trarre due conclusioni. La prima è la debolezza di Biden. L'ex vice di Obama è in una posizione di forza in quanto presidente. Potrebbe orientare il ciclo mediatico in suo favore, eppure sembra non essere in grado di cambiare l'inerzia dei media e gioco forza di percezione di forza. E qui veniamo alla seconda conclusione: Trump è riuscito, in un anno, a ribaltare la debacle delle midterm dello scorso anno e a ricostruire una sua immagine pubblica convincente, aiutandosi anche col ciclo mediatico innescato dai processi a suo carico. Se però si osservano questi sondaggi più da vicino si scopre che tra i due candidati chi è in affanno è l'attuale presidente.

Quali saranno gli swing state

La politica americana e le presidenziali ci hanno abituato a riconoscere come ci siano solo alcuni e ben determinati Stati che decidono il destino della Casa Bianca, i cosiddetti swing state, gli Stati in bilico. Anche nel 2024 non ci saranno eccezioni. E vedere, oggi, i sondaggi in quegli Stati dà un idea della battaglia elettorale che Trump e Biden ingaggeranno. Ad oggi questi Stati in bilico sono: Michigan, Pennsylvania, Wisconsin, Arizona, Georgia e Nevada. Prenderli significa portarsi a casa la Casa Bianca. Per Biden è stato così nel 2020, idem per Trump nel 2016, quando per una manciata di voti strappò ai dem Wisconsin, Michigan, Pennsylvania, Arizona e Georgia. Non è quindi un caso che sia il partito democratico e quello repubblicano abbiano deciso di tenere le proprie convention nel Midwest, rispettivamente a Chicago a Milwaukee.

Andare a vedere come stanno andando i sondaggi in quegli Stati diventa utilissimo per capire gli affanni di Biden. Secondo un sondaggio del Morning Consulting per Bloomberg Trump sta guidando in tutti e sei gli Stati: Arizona (+5%), Georgia (+4%), Michigan (+2%), Nevada (+3%), Pennsylvania (+1%) e Wisconsin (+5%). Togliendo dal conteggio i candidati indipendenti Biden si riprende leggermente in Nevada e porta in parità la sfida in Michigan. Nel 2020 Biden riuscì a vincere in tutti questi Stati e a garantirsi la vittoria su Donald Trump. Alcuni di questi numeri sono all'interno del margine di errore, ma se sommati, la media risulta sopra di un punto rispetto al margine. Segnali forti che richiederanno correttivi importanti alla campagna di Biden.

I temi che scaldano gli elettori

Secondo molti, infatti, i temi su cui si giocheranno le presidenziali saranno una manciata: economia, aborto, immigrazione, criminalità e politica estera.

Economia: i limiti delle Bidenomics

L'amministrazione Biden fin dai primi mesi ha varato mastodontici piani per far ripartire l'economia dopo la crisi pandemica. Con una sere di provvedimenti, dalle infrastrutture fino a pacchetti di stimolo monetario, ha pompato denaro nelle tasche degli americani. Il problema è che questo insieme di provvedimenti, ribattezzato Bidenomics ancora non convince gli americani, scottati da un'inflazione e da un'economia surriscaldata. I dem, dal canto loro, rivendicano non solo uno degli indici di disoccupazione più bassi di sempre, ma anche che i salari stanno crescendo e che gli investimenti nelle infrastrutture creeranno lavori sul lungo periodo. I repubblicani, invece, attaccano accusando le Bidenomics di aver fatto aumentare l'inflazione e promettono tagli alla spesa federale e alle tasse. Gli elettori sembrano, per ora, poco convinti della bontà del progetto Biden. Nei famosi swing state gli elettori, ha rilevato sempre il sondaggio del Morning Consulting, gli elettori premiano la gestione economica di Trump rispetto a Biden con un margine di 14 punti. Quasi il doppio degli elettori interpellati boccia le riforme economiche rispetto a quanti le approvano. Il paradosso, per Biden, è che la maggioranza apprezza i singoli provvedimenti contenuti nei pacchetti di stimolo. Su questo punto Biden dovrà lavorare moltissimo. Da tempo gli elettori, anche a livello nazionale, rimpiangono la gestione dell'economia dell'ex presidente.

bidenomics

Aborto: una battaglia persa per il Gop

Il sovvertimento della Roe v Wade nel 2022 si è rivelato uno dei fattori fondamentali nella mancata Red Wave repubblicana alle midterm di un anno fa. Su questa scia i dem puntano a tenere il tema al centro della campagna elettorale per motivare la propria base ma non solo. Tutti i sondaggi di opinione dimostrano che la maggioranza degli americani è contraria a una restrizione del diritto all'aborto. La fine della sentenza che rendeva possibile l'interruzione di gravidanza a livello federale alla fine ha motivato di più gli attivisti favorevoli all'aborto, rispetto a chi spera in leggi più restrittive. E così, soprattutto per i candidati repubblicani, la questione si rivela scivolosa, perché da un lato potrebbe alienare i voti degli indipendenti, e dall'altro quelli degli elettori più conservatori.

aborto

Immigrazione: il nodo del confine meridionale

Un altro terreno di scontro che si preannuncia caldissimo è quello sull'immigrazione. L'amministrazione Biden si è trovata a gestire un'ondata di arrivi senza precedenti lungo il confine con il Messico, dove sono aumentati gli attraversamenti illegali. Una situazione che ha messo sulla difensiva anche città santuario (quelle in cui la presenza dei migranti veniva tollerata) come Chicago e soprattutto New York, che hanno ingaggiato una battaglia dialettica contro la Casa Bianca. Su questo tema il Gop, con Trump in testa, è pronto a colpire duro, rinfacciando all'amministrazione di aver allentatato alcune forme di controllo al confine. Per i dem la materia è complessa. L'ala più a sinistra del partito accusa Biden di misure di controllo eccessive, allo stesso tempo sempre più elettori sono preoccupati per l'eccessiva pressione.

migranti usa

Criminalità: il ritorno della proposta "legge e ordine"

Un altro tema chiave per gli elettori è quello della sicurezza. Un recente sondaggio di Reuters e Ipsos ha rivelato che gli elettori di entrambi gli schieramenti sono preoccupati: l'88% degli intervistati ha raccontato che la criminalità è una questione importante nel processo di decisione su chi votare. La pandemia nel 2020 ha fatto schizzare verso l'alto i tassi di criminalità, spinti instabilità politica e sociale con disordini per la giustizia sociale. In questo clima, l’insicurezza degli elettori è aumentata a dismisura, soprattutto nei sobborghi, da sempre cuore pulsante degli Stati Uniti. Una fascia da sempre oscillante tra dem e Gop che nel 2020 bocciò sonoramente Trump ma che adesso, spaventata, potrebbe rivotarlo all'insegna della proposta repubblicana basata su "legge e ordine".

crimine usa

Politica estera: i rischi su Ucraina e Israele

Ovviamente nella campagna elettorale troverà posto anche la politica estera. Il tema, da solo, non è sufficiente a spostare voti, ma i fatti globali avranno un peso notevole sul piano mediatico. Su questo punto i dossier sul tavolo sono tantissimi. La Cina è emersa come uno dei pochi temi in cui c'è una convergenza a Washington. Discorso diverso per il dossier ucraino e quello mediorientale. Il primo inizia a dividere repubblicani e democratici. Esiste, soprattutto al Congresso, una maggioranza abbastanza trasversale che spinge sul supporto a Kiev nella guerra contro la Russia, ma nel campo repubblicano iniziano a scorgersi delle crepe. La frangia più radicale, quella che fa capo a Donald Trump spinge per riallocare le risorse e "spendere per i cittadini americani". E questo sarà un fattore elettorale, soprattutto se si considera il cambio della leadership alla camera con l'elezione a speaker di Mike Johnson. Sul dossier mediorientale pesa la guerra aperta tra Israele e Hamas, in particolare per l'offensiva lanciata da Tel Aviv contro la Striscia di Gaza. Qui Biden è sotto pressione da frange del suo stesso partito, soprattutto quelle più radicali. Se è vero che i "socialisti" dem hanno un peso elettorale minimo e rilevante solo in alcuni collegi, è altrettanto vero che esiste un minimo rischio di logoramento, come dimostrano i malumori delle minoranze musulmane.

gaza washington

Tutti i rischi per Joe Biden

Chiaramente in un anno possono cambiare molte cose. Allo stato attuale la corsa alla Casa Bianca è ricca di incognite. Un discorso che vale sia per Biden che per Trump. Sul primo incombe il fattore dell'età: dovesse essere rieletto diventerebbe il presidente più anziano di sempre. Ma non solo. Pesa la capacità di ricostruire la coalizione di elettori che lo spinse nel 2020, di convincere i segmenti dell'elettorato più giovane e demotivato. Nelle ultime tornate elettorali la capacità di mobilitare la propria base è diventata l'elemento fondamentale tra vittoria e sconfitta. Il numero di indecisi da convincere è sempre meno.

In questa fase gli elettori dem sono i meno motivati, molti potrebbero disertare le urne. Al contrario il fronte repubblicano potrebbe mobilitare un numero maggiore di elettori. Ma anche su questo pesa l'incognita Trump. Se è vero che le citazioni in giudizio lo hanno rinforzato, non è detto che una condanna o altre rivelazioni avrebbero lo stesso risultato, più di qualche elettore, soprattutto tra gli indipendenti potrebbe tornare a votare Biden.

L'unica sicurezza è che sarà una delle campagne più costose di sempre. I dati della Commissione elettorale federale indicano che già oggi, a un anno dal voto, Biden ha speso 24,8 milioni di dollari mentre Trump ne ha spesi 23. Intanto il presidente ha sorpassato il suo probabile avversario in un campo: la raccolta fondi. Secondo fonti della campagna di Biden, nel terzo trimestre dell'anno il comitato per la rielezione ha raccolto 71 milioni di dollari. Tutti i gruppi per la raccolta fondi hanno detto che ora il comitato dispone di un portafoglio di oltre 90 milioni di dollari, molti dei quali, dicono, arrivati da donazioni sotto i 200 dollari.

Nello stesso periodo Trump ne avrebbe raccolti "solo" 45,5. Per alcuni questo è un segno di forza, per altri un indicatore che i finanziatori temono per il destino di Biden e quindi lo spingono coi finanziamenti. I prossimi mesi stabiliranno chi ha davvero ragione.

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