Così il business del plasma finisce in mano al senatore Pd

La Kedrion della famiglia Marcucci mette a disposizione i propri stabilimenti per produrre sangue iperimmune

Così il business del plasma finisce in mano al senatore Pd
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Arriva il plasma iperimmune industriale. A produrlo sarà l'azienda di famiglia di un senatore Pd. Grazie a una sperimentazione partita con l'ok del governo, di cui l'esponente dem ha un ruolo di primissimo piano. Ma prima bisogna fare un passo indietro. E spostarci all'ospedale Poma di Mantova. Dove chi si è ammalato di coronavirus e si è visto trasfondere il plasma iperimmune non muore più da un mese e mezzo. Nessun effetto collaterale. È il risultato della sperimentazione portata avanti con il San Matteo di Pavia (su 48 pazienti). Pioniere lo pneumologo Giuseppe De Donno. All'inizio qualcuno lo fa passare per matto («Mi hanno dato del demente», dirà). Baruffe tra scienziati, come quando in tv un collega dice che è una terapia costosa e pericolosa. E quando De Donno salva la ventottenne Pamela Vincenzi, incinta di sei mesi, i Nas vanno a chiedergli spiegazioni. Luigi invece ha 51 anni ed è dato già per morto a Bergamo. De Donno lo sottopone a plasmaterapia su richiesta diretta del presidente della Repubblica Sergio Mattarella: si risveglia dal coma e torna a vivere. Si salva anche un terzo paziente nonostante l'agammaglobulinemia: non produceva anticorpi eppure è vivo.

Mondo politico e comunità scientifica capiscono che la sperimentazione può dare buoni frutti. E qui succede l'impensabile. L'Istituto Superiore di Sanità fa partire una sperimentazione nazionale. Il capofila ideale è Mantova ma viene scelta Pisa, che ha guarito due pazienti: «Non hanno nemmeno atteso i miei risultati» dirà De Donno. Al protocollo aderiscono quattro Regioni, tutte a guida Pd. Tu chiamale, se vuoi, coincidenze. Il 15 maggio nasce il comitato scientifico: 13 esperti, da Reggio Emilia a Catania, dall'Aifa al Centro nazionale del sangue. De Donno no, sbotta e parla di scelte politiche. E il governatore della Toscana Enrico Rossi annuncia querela.

Giovedì scorso De Donno è atteso in streaming alla commissione Sanità del Senato. Deve parlare di quanto sia gratuito il plasma e di come una persona guarita da coronavirus possa salvarne 2 (con una sacca da 82 euro). Prima deve intervenire Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria. Che presto cede la parola al toscano Paolo Marcucci, che non era atteso. È l'amministratore delegato di Kedrion Biopharma, colosso dei plasmaderivati con un fatturato da 687 milioni di euro: «Lavoriamo a fianco del Centro nazionale del sangue contro il contagio». L'azienda ha fornito gratuitamente la strumentazione e i kit di consumo per l'inattivazione virale del plasma e accompagna tutte le sperimentazioni in corso sul plasma iperimmune. Ma Marcucci spiega la seconda fase: Kedrion metterà a disposizione il proprio stabilimento di Napoli per raccogliere il plasma dei donatori italiani e trasformarlo, in «conto lavorazione» in plasma iperimmune industriale utilizzabile nei quattro anni successivi: «Così si eviterà di eseguire l'inattivazione virale nei singoli centri che è un'inattivazione comunque artigianale, costosa e adatta solo alla sperimentazione». Peccato sia esattamente il contrario di quanto sosterrà poco più tardi lo pneumologo mantovano. Lo abbiamo cercato, De Donno. Non ci ha risposto. Aggiunge Marcucci anche che è prevista una terza fase: la produzione di gammaglobuline imperimmuni con l'israeliana Kamada, con cui è d'accordo da aprile. Prime consegne per ottobre.

Insomma, il plasma donato gratuitamente dai convalescenti italiani diventerà un prodotto industriale di un'azienda privata che, evidentemente, non lavorerà gratis. Ci sta che il manager dell'azienda privata ne parli a sorpresa in un'audizione al Senato. Ma il diavolo si nasconde nei dettagli. L'ad di Kedrion è Paolo Marcucci, fratello di Andrea Marcucci, capogruppo in Senato del Pd, esattamente come è del Pd la regione cui è stata affidata la sperimentazione nazionale. Con il beneplacito dell'Iss. Senza dire neanche grazie a De Donno.

È come se ai tempi del governo Berlusconi lo Stato avesse assegnato a una

multinazionale in mano alla famiglia di un senatore di Forza Italia un affare miliardario. Ma i conflitti d'interesse, si sa, può evocarli solo la sinistra o i grillini. Ai tempi del governo gialloverde si chiamano coincidenze.

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