L'arresto di Putin? Sarebbe una «dichiarazione di guerra». Nel giorno in cui i primi quattro Mig-29 donati dalla Slovacchia all'Ucraina sono partiti dal suolo slovacco, le parole dell'ex presidente russo Dmitry Medvedev elevano al cubo la tensione. Il mandato della Corte Penale internazionale (Cpi) secondo il vice presidente del Consiglio di sicurezza della Federazione russa aprirebbe ad uno scenario davvero globale e indica anche dove la reazione di Mosca si concentrerebbe: «La Germania promette l'arresto in caso Putin arrivi a Berlino? Allora tutto il nostro armamentario volerebbe contro il Bundestag».
Non c'è dunque solo la questione della guerra ibrida, «parallela» agli attacchi in Ucraina, a richiamare l'attenzione della comunità internazionale e dei membri NATO, ma la consapevolezza che da questo momento in poi la partita ha preso una piega diversa, perché si mescola globalmente con i destini africani, americani ed europei. Intanto la ministra per la cooperazione sudafricana, Naledi Pandor, annuncia che il suo paese consulterà la Russia sul mandato di arresto emesso contro Putin, prima di prendere in considerazione qualsiasi azione, a dimostrazione di un tessuto ancora intimamente connesso sia all'azione tattica in loco della brigata Wagner, sia alle intenzioni di un decisore come la Cina che nel Continente nero è protagonista indiscusso.
Pretoria si dice preoccupata per i «doppi standard» della corte internazionale che, a suo dire, tende a prendere di mira alcuni leader e chiudere un occhio su altri. «Avevamo sperato che altre forme di mandato sarebbero state emesse dalla Cpi perché ci sono molti Paesi e leader che hanno praticato abusi molto gravi ma rimangono immuni». Stesso clichè, anche se più putiniano, quello ungherese: Gergely Gulyas, capo di gabinetto del primo ministro Viktor Orban, ha detto che il mandato non ha alcun fondamento legale in Ungheria: «Possiamo fare riferimento alla legge ungherese e sulla base di essa non possiamo arrestare il presidente russo, poiché lo statuto della Corte penale internazionale non è stato promulgato dall'Ungheria». La posizione di Budapest è che la decisione dell'arresto avrebbe come unica conseguenza un'ulteriore escalation e non lo sforzo verso la pace.
Prova a raddrizzare la barra il Ministro degli esteri Antonio Tajani, che mette l'accento sul fatto che i ministri degli Esteri hanno riconosciuto la rilevanza della decisione della Corte penale internazionale di procedere nei confronti di Putin e della commissaria russa per i diritti dei bambini per deportazione di minori. Parole precise, che il numero uno della Farnesina pronuncia in audizione nelle commissioni riunite Esteri di Camera e Senato.
Anche da Washington, sponda Repubblicani, arriva l'endorsement: il governatore della Florida, Ron De Santis, definisce Putin un criminale di guerra e rettifica così le sue precedenti parole, quando aveva definito la guerra una «disputa territoriale» che non rappresenta un interesse vitale per gli Usa. Il principale rivale di Donald Trump alle primarie spiega che Putin «dovrebbe essere ritenuto responsabile», aggiungendo che, pur ritenendo che non vi sia un interesse sufficiente «per noi per un aumento del coinvolgimento, l'idea che io pensi che in qualche modo la Russia sia giustificata nell'invasione è una sciocchezza». Dal fronte bellico intanto spicca la difficoltà di Wagner a Bakhmut, dove la milizia sta perdendo ogni giorno molti uomini.
Questo mancato risultato sarebbe alla base del possibile passo indietro dalla guerra, accanto al fatto che dietro i dissidi crescenti con i vertici della Difesa di Mosca si cela la madre di tutte le battaglie: il riposizionamento fra poteri, non solo interno, nel caso in cui tutto precipitasse.
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