L'altro mondo esiste e non ha più confini. Ci sono luoghi dove lo stupro è un piacere, i boss sono eroi e ci si può ammazzare per gioco. Non è affatto lontano. È qui, è quotidiano, è di massa e definisce l'esperienza degli umani. È un pezzo del nostro immaginario. È formazione. È educazione sentimentale e sessuale. È valori e disvalori. È fatto di storie, di pensieri, di immagini, di parole e di pixel. Qualcuno adesso lo chiama metaverso, ma non è soltanto quello. Non è solo il virtuale. È il mondo delle idee. È una sorta di vita alternativa, dove la morale è alterata e c'è la tentazione di muoversi al di là del bene e del male. La sensazione è che qui si può fare tutto e non c'è tempo di preoccuparsi delle conseguenze. Nessuno è responsabile delle proprie azioni. Non si paga e non si soffre. L'empatia è inutile. È un «altrove», ma entra nella tua realtà. Lo stupro di Palermo è un pezzo di irrealtà che si fa reale. È l'educazione sessuale di un certo porno. Qui, in questo universo alternativo, le donne sono carne da macello. Non è un peccato umiliarle, perché in fondo è proprio quello che vogliono e non aspettano altro di inginocchiarsi al centro della scena, circondate da maschi qualunque, pronte a dare piacere e a prenderselo, ma solo per concessione del branco. È tutta finzione, ma esiste.
Il sedicenne che ha sparato e ucciso un giovane musicista per un parcheggio si sentiva come Ciro, come Pablo, come il Freddo, uno a cui non rompere le scatole perché poi finisce male. I borderline di Casalpalocco riprendevano le loro avventure come in un videogame e sotto le ruote della loro Lamborghini, reale e presa a prestito, è finito un bambino di cinque anni. Queste tre storie di nera sono segnate dall'incoscienza e dall'irresponsabilità. Faccio quello che voglio e me ne frego delle conseguenze. Sono amorali. Che fare? No, non si può censurare l'immaginario. È come bruciare i libri. Non servirebbe a nulla. Non si possono costruire muri contro l'oceano. E poi è immorale. Nel 1774 Johann Wolfgang Goethe pubblica I dolori del giovane Werther. È un romanzo epistolare che racconta lo struggimento amoroso di un sognatore per Lotte. Le sofferenze diventano una «febbre sociale». La malinconia è virale. Werther si suicida e molti lettori, circa duemila, lo imitano. Goethe fa morire il suo personaggio per continuare a vivere. Ecco, censurare l'immaginario è come mandare al rogo il Werther. Paragoni Goethe a Rocco Siffredi? No, ma il principio è lo stesso. Non è la censura la soluzione. È lavorare sul confine tra reale e virtuale. La frontiera sta diventando minima, quasi inesistente, perché la forza di penetrazione dell'immaginario non è mai stata così potente, profonda e di massa. Il guaio è che ricade su un'umanità che ha la stessa coscienza di mille e mille anni fa. Non ha ancora gli strumenti per fare i conti con l'irreale. Ha spodestato i preti e ci ha messo gli influencer.
La differenza è che buona parte dei nuovi «maestri del pensiero» vive per il giorno per giorno, per il qui e adesso. La morale è quella di Rossella O'Hara: domani è un altro giorno. Non c'è più l'infinito. Allora il paradosso è questo: il confine tra reale e virtuale è nullo perché non c'è più una metafisica.
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