Mario Draghi non fa più rumore, neppure quando guarda lontano e vede la morte dell'Europa. È un futuro ipotetico, una possibilità, che verrà influenzata dalle scelte che si faranno adesso, in questo presente cieco e melmoso, dove i vertici politici e economici dell'unione tirano più che altro a campare. Draghi non è un profeta, ma ha l'esperienza e la lucidità per guardare in faccia la realtà e individuare crocevia e porte scorrevoli. Il suo rapporto sullo stato di salute dell'Europa rispetto a Cina e America assomiglia a un'ultima chiamata. Ci sono una serie di riforme da fare subito altrimenti si va verso il tramonto. È una lunga analisi di 400 pagine che tocca la difesa, l'energia, l'ambiente, l'immigrazione, la finanza e le imprese. Il perno è il Parlamento di Strasburgo perché l'azione è politica. C'è un punto però che più degli altri è cruciale: la tecnologia. L'allarme di Draghi nasce dalla scarsa competitività dell'Europa rispetto al resto del mondo. Il messaggio è «siamo indietro, molto indietro». Questi sono tempi particolari. Siamo dentro una rivoluzione copernicana. È come ritrovarsi alla fine del Settecento e arrivare tardi nella corsa al telaio meccanico. È perdere il vapore e l'energia elettrica. È trovarsi spiazzati dal fordismo. L'Europa ha sempre guidato le altre rivoluzioni, adesso invece arranca e rincorre. È il passo a vuoto di una civiltà.
Si muore di inedia e di ignavia. La Ue scompare ogni volta che c'è da prendere una decisione strategica. I governi teoricamente più europeisti, quello francese e quello tedesco, sono sospesi in un limbo. Draghi lo sa e vede la fine.
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