Il Papa e la frase sui seminaristi gay: non lasciamo che il gergo cancelli il tema

"Da questo Papa c'è da aspettarsi di tutto", dicevano i colleghi venuti da ogni parte del mondo nel marzo di undici anni fa

Il Papa e la frase sui seminaristi gay: non lasciamo che il gergo cancelli il tema
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«Da questo Papa c'è da aspettarsi di tutto», dicevano i colleghi venuti da ogni parte del mondo nel marzo di undici anni fa, quando l'argentino Jorge Mario Bergoglio fu eletto supremo pontefice (ma lui, affacciandosi alla loggia di San Pietro, disse «vescovo di Roma», e già quella fu una prima rottura). Apparve subito non solo come un rivoluzionario, ma anche e forse soprattutto come uno che se ne infischiava dei protocolli. Si presentò a noi giornalisti, in Sala Nervi, con dei pantaloni grigi da pensionato sotto una veste bianca che poteva essere quella di un infermiere: che differenza con Ratzinger e le sue scarpette rosse. Annunciò, quel giorno, che non avrebbe alloggiato nell'appartamento riservato ai pontefici, ma che se ne sarebbe andato in Santa Marta, dove avrebbe pranzato e cenato con gli altri preti e le suore, come in una mensa, perché di mangiare da solo servito e riverito «come un papa» - non ci pensava nemmeno. Un giorno se ne andò in giro per Roma come uno qualunque per andare a comprare gli occhiali, scatenando il panico fra quelli della sicurezza. E tutto questo piacque, e per molto tempo è piaciuto, ai colleghi e in genere a tutti coloro che hanno sempre visto nella Chiesa una casta di privilegiati. Bergoglio, alla messa dell'incoronazione, saltò a pie' pari interi passi della liturgia. E tutti a dire «bravo», finalmente uno che esce dagli schemi. Ci sono però altri schemi che gli stessi papofili plaudenti non tollerano che vengano infranti, come il sentir dire, da Francesco, «frociaggine». Fa scandalo, è omofobia, peccato mortale. E certo non è bello che un Papa si esprima così, anzi non è bello che alcuno si esprima così. Ma Francesco è fuori dagli schemi davvero: non sta dentro i vecchi canoni papalini ma neppure in quelli del linguaggio corretto. È poi argentino, e l'italiano l'ha imparato da pochi anni, e soprattutto l'ha imparato a Roma: e quindi più che l'italiano parla il romanesco. Gli è scappato di parlar di froci come potrebbe scappargli uno «sticazzi?». Può darsi. Ma l'espressione da osteria cacio e pepe non dovrebbe oscurare la sostanza del discorso che Bergoglio ha pronunciato durante l'assemblea dei vescovi. Ha sollevato una questione delicata, talmente delicata che per troppo tempo non s'è avuto ardore di parlarne.

E chi invece ne ha parlato, lo ha fatto con lingua biforcuta: quelli che accusano il clero di essere una lobby gay sono gli stessi che griderebbero all'omofobia se si chiudessero i seminari agli omosessuali. Parlerebbero di discriminazione. Come risolvere la questione, è affare della Chiesa. Ma tacere serve solo a peggiorare le cose.

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