La guerra totale contro una nazione nella quale molti hanno legami strettissimi; le sanzioni occidentali che minacciano il rublo, l'economia russa tout court e i loro patrimoni siderali; ora persino l'ombra dell'incubo nucleare. Fra gli oligarchi moscoviti del business - quelli arricchitisi durante le privatizzazioni selvagge degli anni '90, ma anche quelli venuti alla luce o rimasti a galla nel ventennio del potere di Vladimir Putin - c'è chi incomincia a non poterne più della guerra in Ucraina. Non è ancora una rivolta in piena regola, sul modello di quella costata la galera e l'esproprio a inizio anni 2000 a figure come l'ex patron dell'ormai defunto colosso petrolifero Yukos, Mikhail Khodorkovski. Ma i nomi che si allineano nell'elenco di chi stavolta appare deciso a esporsi in una presa di distanza dallo zar del Cremlino e dalla sua corte di uomini provenienti dai ranghi dei siloviki - i veterani dei servizi, delle forze armate, degli apparati russi - sono importanti. Le prime critiche esplicite di super miliardari storici portano la firma di due pesi massimi come Oleg Deripaska e Mikhail Fridman: pronti addirittura a strizzare l'occhio alle proteste di piazza di questi giorni, sfociate nella solita raffica di arresti. Mentre più sfumata appare la posizione dell'astutissimo Roman Abramovich. E sono quasi 6.000 le persone fermate dalla polizia in tutta la Russia dopo il quarto giorno di proteste contro la guerra.
Lo riferisce il sito indipendente Ovd-Info, precisando che le persone fermate sono 5.942 persone, 2.802 delle quali domenica nelle manifestazioni non autorizzate in 57 città del Paese. A Mosca domenica sono state fermate 1.275 persone.
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