«Dopo il cessate il fuoco respiriamo un sentimento di vittoria». Sembrerà incredibile, ma Naim Qassem inizia così il suo primo discorso da segretario generale di Hezbollah, carica conseguita grazie all'eliminazione di Hassan Nasrallah e di altri possibili candidati. Un sentimento a dir poco anomalo. Anche perché secondo le stime israeliane il Partito di Dio ha perso, oltre a Nasrallah, 14 alti dirigenti appartenenti al suo nucleo fondante e un centinaio di comandanti di divisione, brigata e battaglione. Ma il «sentimento» appare ancor più contraddittorio se ai rovesci libanesi s'aggiungono quelli in corso in Siria, dove poco prima del discorso di Qassem, le forze alqaidiste di Hayat Tahrir al-Sham (HTS) sono entrate ad Aleppo travolgendo l'esercito governativo appoggiato da Hezbollah. Ma a Naim Qassem la realtà contingente interessa poco. Lui guarda al futuro e ai prevedibili piani di un Iran pronto, come nel 2006, a riarmare la milizia sciita.
E così la mera sopravvivenza garantita dal cessate il fuoco diventa nelle sue parole una «grande vittoria che supera quella del luglio 2006». Una situazione, riconosciuta a detta di Qassem, anche dal premier israeliano Netanyahu costretto ad «una tregua per riorganizzare il suo esercito» mentre «la resistenza leggendaria» di Hezbollah «ha impressionato il mondo e minato il morale degli israeliani». In verità mentre Qassem celebra una vittoria immaginaria il resto del mondo segue con sconcerto il tracollo delle forze siriane intorno ad Aleppo e l'avanzata dei jihadisti di Hayat Tahrir al-Sham. Anche perché la resurrezione dei ribelli alqaidisti arriva dopo otto anni durante i quali le forze siriane appoggiate da militari russi, pasdaran iraniani e militanti di Hezbollah sembravano avere il totale controllo. In soli tre giorni, invece, la situazione si è completamente capovolta. Approfittando dei raid israeliani in Siria e del parziale ritiro di pasdaran e Partito di Dio i ribelli, appoggiati e armati dalla Turchia, hanno sgominato le forze fedeli a Bashar Assad prendendo, ieri pomeriggio, il controllo di cinque quartieri di Aleppo. Una debacle senza precedenti favorita anche dall'inerzia di un contingente russo che ha tardato nel far decollare i caccia bombardieri di stanza a Khmeimim, la base aerea a sud est di Latakya. Una debacle inficiata forse da precedenti intese con Ankara che rischia però di costar cara all'immagine russa.
Nei video diffusi ieri dai jihadisti si vede un prigioniero russo legato ad un albero il cui inevitabile destino sarà quello di ostaggio usato per ricattare Mosca. Anche l'immagine della potenza militare iraniana - già compromessa in questi mesi dai raid e dalle operazioni segrete israeliane - subisce un ulteriore ridimensionamento. Tra i caduti dell'offensiva alqaidista si conta infatti il generale dei pasdaran Keyomarth Pourhashemi, comandante dei consiglieri militari della Repubblica Islamica responsabili della difesa di Aleppo. Quel che più sconcerta è, però l'effetto domino innescato dal conflitto libanese.
In assenza di qualsiasi ordine mondiale, e di potenze in grado di garantirlo, la sconfitta subita dal fondamentalismo sciita di Iran ed Hezbollah per mano israeliana si trasforma nella resurrezione dello jihadismo alqaidista. Ed in un grosso guaio per l'Europa che rischia, ancora una volta, di subirne le conseguenze.
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