Nel corso della serata di ieri, la proposta di Hamas si è fatta insistente: fra i 50 e i 100 rapiti da Israele, bambini e mamme e forse nonne, contro un numero imprecisato di prigionieri nelle carceri di Gerusalemme. Si tratta comunque di terroriste donne e di ragazzi terroristi in carcere. Le donne dietro le sbarre sono 194, i ragazzi sotto i 16 anni sono 12, sopra i 16 sono 156. Difficilmente Israele potrà rifiutare ma è una trattativa che richiede un'enorme attenzione alle trappole di Hamas. Ma la trattativa è in stallo. Hamas punta su 5 giorni di cessate il fuoco, mentre Israele avrebbe concordato su un massimo di tre. Un'altra condizione dei palestinesi è che Israele fermi il volo dei droni su Gaza, in modo da impedire lo svelamento della collocazione degli ostaggi. Altro punto di dissenso è la richiesta di Hamas di consentire libertà di movimento tra il Sud e il Nord della Striscia, secondo fonti di Haaretz.
Le famiglie dei rapiti fremono. Noa Ofek vorrebbe andare dentro Gaza a prendere i suoi cari: «Tutto il gruppo di famiglie dei rapiti vorrebbe marciare là dentro, e riportarli a casa tutti insieme: è questa la nostra richiesta, tutti e subito, a ogni costo... Sono 40 giorni senza bambini, mamme, nonni, l'amore della nostra vita. Non sappiamo se sono vivi o morti, al buio delle gallerie, dentro case e rifugi introvabili. Mangiano? Dormono? I malati, i vecchi, hanno le medicine? E i bambini, che ne è di loro?». La sorte ha messo insieme un esercito dolente di familiari e amici che attraversa a piedi Israele fino all'ufficio del primo ministro.
La prima proposta era stata 50 contro 50 più tre giorni di tregua. Ma è vero? È un bluff? Un tentativo di spaccare Israele? Le famiglie hanno sempre detto che pretendono l'unità, che sarebbe sbagliato accettare offerte parziali, per i passaporti stranieri o per un gruppo specifico, mentre un altro resta abbandonato nelle mani dei barbari. Ma Sinwar non accetterà mai di scambiare in blocco il suo maggiore scudo umano, la sua assicurazione sulla vita. Noa, un'insegnate di sostegno, ha tre persone nelle grinfie dei terroristi, suo cugino Ravid, la cui ultima bambina di 5 mesi, Alma, è salva con la mamma perché ha saputo tacere 6 ore mentre i terroristi assediavano il nascondiglio; e un'altra cugina più lontana, Oron, rapita insieme alle due bambine, Aviv di 4 anni e Raz di 2. «Ha descritto al telefono minuto per minuto l'assedio, i terroristi in casa, il momento in cui l'hanno afferrata, caricata con le bambine su un camion... Suo marito Gadi ha localizzato il telefono e ha visto che la portavano dentro Gaza».
Adesso, dopo 41 giorni di lontananza, ieri è stata una giornata di voci: le povere famiglie delle 239 persone innocenti e persino di una creatura nata in prigionia di cui si sa solo questo, che la madre ha partorito, si interrogano sui possibili 70-80 ostaggi contro i prigionieri. Quali? Si tratterebbe di donne e bambini contro donne in carcere e ragazzi, di fatto giovani terroristi nelle carceri israeliane. Si tratta di capire se la proposta è vera e se Hamas manterrebbe la promessa? Avverrebbe in una volta? A fasi di ricatto successivo? Dall'accerchiamento dell'ospedale di al-Shifa sotto il quale si trovano il quartier generale di Hamas, l'offerta si è spostata da 50 a circa 100 ostaggi. Sinwar gioca la trappola mediorientale dell'astuzia, ma Israele stavolta gioca duro. «Noi sappiamo che senza la restituzione dei nostri cari, non ci sarà vittoria vera» dice Noa.
Come fa a sopportare la sofferenza di questa tortura? «Mi impongo dei pensieri quieti: per esempio, le bambine in casa di una donna palestinese che vede come sono belle e dolci, e prende cura di loro. La notte è difficile. Di giorno, siamo occupatissimi. Adesso marciamo verso Gerusalemme».
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