Le profezie dei corvi non hanno fatto breccia: la gente è con il Papa

Il VII incontro mondiale delle famiglie a Milano è stato un trionfo, a dispetto delle previsioni che dopo Vatileaks davano il Pontefice in pieno declino

Le profezie dei corvi non hanno fatto breccia: la gente è con il Papa

Gli anonimi. I complotti. I corvi. E quelle facce enigmatiche dei cardinali: i giornalisti, assiepati su una tribunetta alzata a ridosso del palco, li osservano con la passione dell’entomolgo per studiare partiti, appartenenze, schieramenti. La Chiesa pare davvero una barchetta fragile, di quelle che si vedono nelle formelle dei pulpiti medioevali, e il suo timoniere un uomo in balia di onde e marosi incontrollabili. Come un leader politico qualunque, non importa se di destra o di sinistra, con un ciclo a termine: ascesa e declino, la prima fila e poi il tramonto più o meno dorato. Ma basta voltarsi dall’altra parte, far correre lo sguardo sul pratone sterminato di Bresso, per capire che ancora una volta le nostre analisi di opinionisti, esperti, studiosi sono fatte di carta. Benedetto XVI parla e una folla smisurata, forse un milione di persone, lo ascolta. Lo applaude. Lo incita. Lo invoca. Dall’alto si attraversa un mare di teste, striscioni, bandiere e sullo sfondo, lontano, i condomini sgraziati dell’hinterland milanese. La periferia riempita dal cuore dell’uomo. Potrebbe essere, come colpo d’occhio, la Polonia di un altro giugno, il giugno ’79, quando Karol Woytjla tornò finalmente nel suo Paese. Il regime aveva giocato con lui al gatto e al topo per trent’anni, lo aveva controllato, dato per finito chissà quante volte e all’improvviso in quei giorni le parti si rovesciarono. Il comunismo celebrò, senza saperlo, le prove generali del proprio funerale.
Oggi, in tutt’altro mondo, le profezie di sventura si ripetono. Il papa è vecchio, il papa è fuori gioco, il papa è prigioniero del Palazzo e degli intrighi di una corte che sembra di nuovo dare il peggio di sè, come se vatileaks fosse l’edizione aggiornata di una saga dei Borgia. Peccato che lo schema non funzioni. Benedetto va alla Scala, come san Paolo all’Aeropago, si emoziona, lui che da una vita mastica la musica, snobba il palco reale, si catapulta in prima fila, cita la bacchetta di Arturo Toscanini e il «concerto memorabile dell’11 maggio ’46». Poi s’interroga senza rete sul mistero del dolore: «Il buon padre è solo sopra il cielo stellato? La sua bontà non arriva fino a noi? Noi cerchiamo un Dio che non troneggia a distanza, ma entra nella nostra vita e nella nostra sofferenza». E’ spiazzante, il papa. E la gente sente che quel volto così fragile è la roccia cui aggrapparsi. E’ un paradosso. Non una superstizione.
Ai piedi del palco ci sono i politici, i vertici, come si dice in questi casi, dello Stato, e mai come questa volta c’è una sproporzione perfino visiva, esasperata dal maxischermo, fra lui e loro. Fra i loro balbettii e la sua parola semplice che tocca corde profonde.
Strano. Il papa non vende ricette miracolose e sabato sera, ancora a Bresso, l’ha detto senza giri di parole. Propone una morale non proprio a fisarmonica. Sembra ripetere sempre le stese cose. Pare perennemente sul punto di essere superato. Poi entra a San Siro, «il famoso stadio di San Siro», riconosce con la sua sensibilità, e settantamila ragazzi e adulti gli fanno la ola, gli tributano la standing ovation, disegnano coreografie scintillanti sul prato, ancora un prato, con corredo di palloncini, ombrelli, magliette multicolore. È così ovunque: in Duomo, sulla piazza, dopo un tiepido momento iniziale, a Bresso e sul percorso della papamobile che se ne va in giro come una reliquia postmoderna in una città che dovrebbe essere affannata, disattenta, indifferente. E invece si fa muraglia per seguirlo. E’ che adulti e giovani, single, sposati, divorziati sentono la verità delle sue parole che bucano il tempo e viaggiano senza tornaconto.
Il papa parla e vince persino la serata tv, l’eterna guerra dello share, raccontando dei boschi della Baviera, di quand’ere bambino e «mio padre suonava la cetra». E il Paradiso potrebbe somigliare a quell’infanzia lontanissima, oscurata dalle nubi del nazismo, e però intatta nell’incanto di quegli occhi.
Ci hanno spiegato per mesi che Ratzinger era ormai un condottiero senza esercito. A Bresso è spuntato un popolo intero. Adesso ci diranno che è emozione. Pancia e stomaco. Infatuazione. Può essere.

E basta un tratto di penna per cancellare anche le centinaia di volontari che hanno lavorato gratis, e le famiglie che hanno ospitato in casa cinque-dieci sconosciuti arrivati chissà da dove, i pellegrini che sono partiti come i re Magi da contrade remote. Basta girarsi di nuovo e concentrarsi sulle facce dei Bertone e dei soliti noti. Il gioco del chi sta con chi. Il papa della Pentecoste però parla un’altra lingua. E il suo posto è nelle nostre case.

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