Nel dibattito sull'Unità d'Italia si innesta da sempre la questione nord-sud, quella frattura di faglia che economica e culturale che porta da sempre a mettere in discussione l'esistenza di un'italianità unica che ci caratterizza tutti dalle alpi a Pantelleria. Accade, ovviamente, in modo esponenziale nell'anno del centocinquantenario. Nel nodo del contendere rientrano diverse questioni. Per citare le più note: lo status economico e politico del Regno delle Due Sicilie prima dell'annessione da parte del neonato Regno d'Italia; i metodi con cui l'unità nazionale è stata imposta alle popolazioni meridionali, delle quali una buona parte ebbe forti rimpianti per il dominio borbonico (vedasi il fenomeno del brigantaggio); i modi e i tempi con cui nel meridione il nuovo stato unitario ha affrontato la questione della proprietà terriera.
Il dibattito è sacrosanto e su alcune questioni, come le brutalità delle truppe incaricate della repressione dei briganti (che sarebbe giusto chiamare lealisti), solo ora si sta facendo pienamente luce (la retorica patriottarda ha a lungo cancellato le tracce degli eccidi). Spesso però sia i sostenitori del Sud "oppresso" e "occupato" quanto i difensori della tradizione risorgimentale del Sud "salvato" alla garibaldina e poi giustamente "nordizzato" (tutto ciò che continua a non funzionare semplicemente non è stato "nordizzato" abbastanza) incorrono, a mio avviso, nella stessa visione a senso unico. Per gli uni e per gli altri il Sud è in qualche modo passivo e vinto. È molto oggetto e poco soggetto.
Ecco allora, anche per provocazione, proviamo a buttare li un e se il Risorgimento fosse partito dal Sud? Non è un ucronia fantascientifica. Semplicemente la presa d'atto che il cuore dei moti italiani del 20-21 e tutto sudista. Il 2 luglio del 1820 una parte del reggimento di cavalleria Borbone, legato alla vendita carbonara di Noli, occupo Avellino, riuscendo ad ottenere in breve tempo l'appoggio degli ufficiali che avevano militato sotto Murat (Il generale Guglielmo Pepe in testa). Il piano degli insorti: Ottenere per il Regno delle Due Sicilie una costituzione sul modello di quella di Cadice del 1812. E non si trattò di un semplice pronunciamento militare, dietro all'esercito si muovevano i borghesi delle province (si il Regno era pieno di piccoli borghesi attivissimi), i piccoli proprietari, i professionisti. Il 7 luglio re Ferdinando fu costretto a concedere la costituzione e il 9 gli insorti entrarono in una Napoli in festa e proiettata verso il futuro e la modernità. Come finì il sogno è noto. Le baionette austriache massacrarono le truppe di Pepe (valore ma davvero mal comandate) nelle gole dell'Antrodoco, il 10 marzo 1821. I Borbone non riuscirono a cavalcare il moto di modernità che nasceva dalle città meridionali (Ferrovie Napoli-Portici sì, libertà politiche no) e scelsero di appoggiarsi alla parte meno moderna del Regno, di non uscire dal concerto delle potenze così ben diretto da Metternich.
Da quel momento in poi la possibilità di sfruttare politicamente la spinta all'indipendenza politica passò ad altre corti, nonostante tutti i tentennamenti che caratterizzeranno Re Carlo Alberto. E parte della borghesia meridionale iniziò sempre più a tifare per il "liberatore straniero". Ma anche in quel caso molti furono tutt'altro che passivi. Il che ci può far dire che molte aspettative al Sud furono disattese e tradite, ma non autorizza a pensare ad un Regno delle Due Sicilie che nei destini italiani fu solo trascinato. Ecco perché ITALIA UNITA l'allegato gratuito che uscirà con Il Giornale, a partire da lunedì sette febbraio, racconta con dovizia di dettagli, nel secondo e nel terzo fascicolo allegato al nostro quotidiano, i primordi del risorgimento e il periodo compreso dal 1815 al 1821. Il primo fascicolo si intitolai «1796 - 1815. IL MONDO NUOVO», una straordinaria sintesi sull'alba del Risorgimento in Italia (Il martedì seguente 08 febbraio, con Il Giornale sarà in edicola il secondo fascicolo gratuito, mercoledì 09 il terzo e giovedì 10 il quarto, sempre gratuitamente).
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