Sulla copertina del libro di Irene Graziosi c'è uno specchio con delle incrinature: e Il profilo dell'altra (edizioni e/o, pagg. 238, euro 16,50) parla proprio di specchi, non solamente quelli che stanno appesi alle pareti del bagno o del corridoio ma, soprattutto, quelli in cui vengono trasformati i gesti, le azioni, le parole, le relazioni e, infine, gli altri, cioè le altre persone, nel momento in cui il mondo intero è ridotto, appunto, a uno specchietto, come quelli che portavano le signorine in borsetta con la cipria incorporata, in cui rimirarsi senza sosta (e senza senso del ridicolo).
Succede, se si vive di vita social. E succede non soltanto a chi, come la giovanissima Gloria, grazie al ruolo di influencer - anche se lei preferisce che la si chiami creator, perché fa più fine - si guadagna molto più che uno stipendio, ma migliaia di euro che sono la conseguenza, nel suo caso, dei due milioni di follower che la idolatrano; ma succede, anche, a chi da quel mondo è escluso, anzi, a chi ne percepisce i difetti, gli inganni, l'illusorietà, le ipocrisie (per esempio: le influencer come Gloria sono ricche e viziate, ma guai a sembrare tali: l'etica domina nell'apparenza - non nella sostanza, ovviamente - dei social), le buone cause sostenute per forza e con una superficialità pari soltanto al fanatismo di breve durata che le caratterizza, il vuoto dietro le parole pronunciate con enfasi e impegno, il tapis roulant di termini anglofoni, la violenza che può colpire chiunque commetta quello che, dai fan, venga senza appello considerato un errore, uno scivolone, un'indecenza. Chi percepisce tutto ciò è l'alter ego di Gloria, il suo specchio incrinato, ovvero Maia, che lavora svogliatamente come cameriera in un bar. Maia viene assunta da Gloria per essere la sua image consultant: nessuno sa bene che cosa significhi ma, insomma, dovrebbe riempire di contenuti la sua immagine e i suoi discorsi. Maia porta avanti il lavoro con disprezzo nei confronti di Gloria e del mondo che la circonda ma, allo stesso tempo, ne viene risucchiata, anche lei attratta inesorabilmente da quello specchio incrinato, scavata in fondo dall'invidia, rosa dal desiderio di autoaffermazione che nega perfino a sé stessa. Finirà male (o forse bene, in un certo senso). L'autrice, Irene Graziosi, conosce benissimo questo mondo, perché ha fondato il progetto Venti con Sofia Viscardi (youtuber, bestsellerista, fenomeno del web da oltre un milione di follower).
Finisce male anche Nessuno ne parla (Mondadori, pagg. 162, euro 18,50) di Patricia Lockwood, poetessa e scrittrice nata in una roulotte dell'Indiana nel 1982 e cresciuta «in tutte le peggiori città del Midwest» che, con questo romanzo, è arrivata in finale al Booker Prize 2021. Anche in questo caso, la protagonista è una star di internet, «diventata famosa per un post che diceva semplicemente: «Esiste un cane gemello? Tutto qui». Tutto qui. La invitano dappertutto, dall'Austria all'Australia, dalla Finlandia alla Nuova Zelanda, per incontrare i fan e per parlare del «nuovo linguaggio» della comunicazione e, per spiegare, per esempio, perché dire sternutare sia «più divertente» di sternutire...
Non che la protagonista non si renda conto che «il portale» risucchia la sua esistenza in un vortice di assurdità. «Un tempo queste comunità ci venivano imposte, insieme ai loro meccanismi di pensiero. Adesso eravamo noi a sceglierle, o così credevamo. Una persona poteva iscriversi a un sito per guardare le foto di suo nipote e cinque anni dopo credere che la Terra fosse piatta». E ancora: «Qualcosa in fondo alla testa le faceva male. Era la sua nuova coscienza di classe»... Eppure, come frenare questa pseudo coscienza di classe e, soprattutto, come impedirle di continuare a sfornare post?
Ci pensa la realtà a incrinare lo
specchio, con una tragedia personale e famigliare (non si può svelare quale) che, per intensità e immensità, fa implodere qualsiasi mondo parallelo, sgretola le illusioni e fa emergere, nel dolore, l'autenticità smarrita.
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