L'ultima poesia s'intitola Rebelute, «I vignaioli», l'ultima parola è «Sabbath», e quel grumo di versi, «l'Invisibile/ invita il vento/ a battersi// tu leggi», non scardina la notte, è sigillo e congedo. Una settimana dopo aver scritto l'ultima poesia, il 20 aprile del 1970, Paul Celan si dirige presso il ponte Mirabeu. Il poeta abita poco lontano, in avenue Zola 6: si è trasferito lì da pochi mesi. Da tempo non abita più con la moglie, Gisèle, e il figlio, Eric. L'acqua della Senna deve sembrare, al poeta, cruda e luminosa, come un salmo. Il suo corpo verrà raccolto da un pescatore, in una chiusa, diversi giorni dopo; Celan viene sepolto il 12 maggio nel cimitero di Thiais.
Su Celan si crocefigge l'intero secolo, di cui egli è il corpo adorato e il corpo sacrificale. Nato a Czernowitz, in Bucovina, nel 1920, da famiglia ebrea ortodossa, perde i genitori durante una retata nazista, nel 1942, a fine giugno. Aveva tentato, inutilmente, di convincerli a nascondersi: «Non si può sfuggire al proprio destino», pare gli abbia detto la madre, decimando il futuro. La donna sarà uccisa, un colpo di pistola alla testa, nel campo di lavoro, giudicata inabile. Orfano, sradicato, esule, Celan abita a Bucarest, poi a Vienna, infine, dal 1948, a Parigi. Si costruisce una propria tradizione, questo poeta affascinato dall'al di là del linguaggio, dalle parole come porte e come pietre. Traduce Shakespeare e Valéry, trova un sodale in Rilke, pone fiori sulla tomba di Georg Trakl, si rivede nella vicenda tragica di Osip Mandel'stam, s'inoltra nell'opera di Ungaretti.
Sembra essere lo zenit dell'Occidente, Celan, il poeta fondamentale e fondamentalmente frainteso, una sillaba vivente: se la pronunci di sbieco, s'infrange. Frequenta Ingeborg Bachmann e Nelly Sachs, inaugura un carteggio con René Char, incontra Martin Heidegger. È il 25 luglio del 1967: dopo una lettura pubblica, il poeta e il filosofo passeggiano nella Foresta Nera. «Da molto tempo desidero conoscerlo. Egli è il più avanzato di tutti, e il più ritratto», aveva scritto il filosofo. Il poeta lo ricambia con la poesia Todtnauberg, carica di incertezze, «più tardi, in viaggio, parole crude,/ senza veli». «Il poema tende a un Altro, esso ne ha bisogno, ha bisogno di un interlocutore. Lo va cercando; e vi si dedica», aveva detto, nel 1960, ricevendo il premio Büchner. Ha scritto poesie limpide per eccesso di sangue, simili a cattedrali senza tetto, e raccolte inflessibili, Papavero e memoria, Di soglia in soglia, La rosa di nessuno, Svolta del respiro... (tutte incassate nel «Meridiano» Mondadori a cura di Giuseppe Bevilacqua, 1998).
Il lavoro più delicato, sulla palpebra dell'invisibile, però, s'intitola Microliti (edito da Zandonai nel 2010, torna a cura di Dario Borso per Mondadori, pagg. 202, euro 20), «pietruzze appena percepibili, lapilli minuscoli nel tufo denso della tua esistenza», con cui Celan puntella la sua vita, dal 1947 fino alle residue ispirazioni, nella spirale della sparizione. Aforismi («Ci sono navigatori dello spazio. E ci sono cadute dal Cielo»), epigrafi, colpi di coltello a scucire l'aria («Ammutolimento e orrore sono contenuti qui - nell'esistenza - non la costituiscono»), confessioni («Chi non si aspetta la poesia, neanche la riconosce»), l'inginocchiatoio della prova poetica («Scrivere poesie: un iniziare senza illusioni»). Celan sembra un Pollicino che si diriga nella bocca dell'orco lasciando questi lapilli, questi fiammiferi in prosa perché noi possiamo ricostruire a tentoni, di notte, la sua vita. «Non rivelare il segreto, altrimenti il segreto rivela te», scrive. Di solito usa il tedesco, a tratti si fa trafiggere dal francese. «Le prove fiaccano la verità»: così si chiude la raccolta. «Celan è andato sino in fondo, ha esaurito le sue possibilità di resistere alla distruzione... si è pienamente realizzato», scrive Cioran, saputo del suicidio del poeta.
Aveva terminato, qualche giorno prima di scegliere la morte, un seminario su Franz Kafka. In casa: un libro di poesie di Hölderlin, un manuale di mineralogia.
Come i grandi poeti, rarissimi, Celan è passato di casa in casa, tra gli sconosciuti, a scavare, con il temperino, un segno di riconoscimento, sullo stipite della porta, perché Dio passasse oltre, trattenendo vendetta e giustizia, perché tutto deve essere rettificato nella redenzione. Nei dieci giorni in cui il corpo morto di Celan, introvabile, vaga nella Senna, levigato da pesci e da angeli incarcerati nell'al di qua, è il mistero della poesia.
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