La due giorni a Mosca del cardinale Matteo Maria Zuppi lo ha visto impegnato negli incontri con Maria Lvova Belova, commissaria russa per i diritti dei bambini, con il consigliere presidenziale per la politica estera Yury Ushakov e con il patriarca Kirill. In tanti commenti l'esito della missione è stato descritto come un flop perché il Cremlino avrebbe snobbato l'inviato del Papa ed avrebbe gelato le aspettative vaticane con la dichiarazione del portavoce Dmitry Peskov diretta a puntualizzare che non è stato raggiunto alcun accordo specifico nel colloquio.
Tuttavia, il giudizio appare decisamente troppo severo se non ingiusto per chi conosce le dinamiche della non facile relazione tra Santa Sede e Mosca.
La pace ed il tempo
Prima di arrivare alla firma degli accordi di pace di Roma del 1992 ci vollero due anni per mettere al tavolo i ribelli della Renamo con i governativi del Frelimo in Mozambico. In quello che viene considerato il capolavoro della cosiddetta diplomazia parallela di Sant'Egidio - e a cui contribuirono in maniera decisiva anche i vescovi cattolici locali - un ruolo da protagonista lo svolse proprio l'allora don Matteo Zuppi. L'attuale presidente della Cei, dunque, sa che in un'opera di mediazione tra due parti in conflitto non esiste il "tutto e subito".
Lo stesso cardinale Pietro Parolin, alla guida della Segreteria di Stato che ha la responsabilità dell'attività diplomatica della Santa Sede, aveva precisato che la missione del suo confratello punta a creare un clima per favorire percorsi di pace e non ad una mediazione immediata. D'altra parte, il presidente Volodymyr Zelensky era stato molto chiaro durante la sua visita a Roma affermando la volontà ucraina di non accettare mediatori e ribadendo che se un piano di pace deve esserci, sarà Kiev ad avanzarlo. La Santa Sede, con tutta la buona volontà, non può non tenere conto della posizione delle parti in causa ed in questo caso della nazione aggredita.
Incontri di basso profilo?
Chi descrive come fallimentare la due giorni a Mosca lo fa appellandosi al fatto che Zuppi non è stato ricevuto da Vladimir Putin nè dal ministro degli esteri Sergej Lavrov, ma solamente da quello che è stato definito un funzionario di medio livello come Yury Ushakov. Non è proprio così: Ushakov, infatti, non è un funzionario di medio livello come dimostra il fatto che a lui sono stati affidati gli unici contatti con Washington dallo scoppio della guerra in Ucraina con la telefonata al consigliere per la sicurezza nazionale Usa, Jake Sullivan.
Su InsideOver ve n'è un ritratto esaustivo, in cui viene definito "tra gli uomini più importanti di Vladimir Putin" e anche "colui che, nel dietro le quinte del palcoscenico, sta conducendo le trattative con gli Stati Uniti sul futuro dell’Ucraina". In questa chiave si capisce anche perché la scelta del Cremlino sia ricaduta su di lui che da ex ambasciatore negli Stati Uniti viene visto da Putin come l'interlocutore adatto con il mondo occidentale (ma anche con la Cina). È vero che Zuppi a Kiev è stato ricevuto da Zelensky in persona ma è anche vero che qualsiasi possibilità di un faccia a faccia con l'omologo russo era già svanita prima della partenza, con il tentato golpe di Evgenij Prigozhin. Inoltre, mentre il cardinale era a Mosca, Putin era già volato in Daghestan.
La difficile relazione con gli ortodossi russi
Sebbene la Chiesa cattolica sia universale, in Russia è tendenzialmente assimilata all'Occidente con tutto ciò che questo implica alla luce delle scorie di decenni di Guerra Fredda.
Chi ha raccontato la visita di Zuppi come un flop perché è stato ricevuto "soltanto" dal patriarca Kirill, probabilmente ignora la storia delle relazioni ecumeniche tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa russa. Per rimarcare l'importanza dell'incontro concesso dal capo del patriarcato moscovita ad un inviato papale - non in rappresentanza del dicastero per la promozione dell'unità dei cristiani o della commissione mista internazionale per il dialogo teologico ma del Papa in persona - sarebbe sufficiente ricordare che nella capitale russa non è riuscito ad atterrare né Giovanni Paolo II, né Benedetto XVI, né Francesco.
Wojtyla, che tanto avrebbe voluto, non c'è riuscito nonostante l'invito di Michail Gorbachev e successivamente nonostante la disponibilità di Vladimir Putin a riceverlo come capo di Stato (della Città del Vaticano) ma non come autorità religiosa. Il motivo è sempre stato lo stesso: la contrarietà dei vertici della Chiesa ortodossa russa da sempre sospettosi nei confronti del Papa e del cattolicesimo in generale. Un pregiudizio duro a morire: il predecessore di Kirill, Alessio II, descriveva come "un nido di serpenti" la Roma cattolica nel corso di un viaggio nell'Urbe del 1968. Nel corso dei decenni molti passi in avanti sono stati fatti ma restano grandi difficoltà legate alla mentalità anti-occidentale del passato che finora hanno impedito anche a Francesco di mettere piede a Mosca nonostante l'abbraccio con Kirill a Cuba nel 2016.
Parole non scontate
Per questo motivo, l'incontro tra Kirill e Zuppi non merita di essere sottovalutato come nei commenti che si sono letti e sentiti in questi giorni. Non solo il faccia a faccia ma anche le parole del patriarca basterebbero a dare un giudizio positivo della tappa moscovita dell'arcivescovo di Bologna. Kirill, principale sponsor ideologico dell'invasione, ha detto al tavolo di fronte al cardinale che "le Chiese possono servire la causa della pace e della giustizia attraverso sforzi congiunti".
Parole pronunciate dallo stesso capo religioso che aveva giustificato la guerra attribuendone la responsabilità ai modelli sbagliati portati avanti dall'Occidente e ai rapporti tra
Occidente e Mosca. Non era scontato che parole simili arrivassero al cospetto di un interlocutore che il patriarcato è abituato a considerare occidentale - e dunque ostile - perché rappresenta la Chiesa di Roma.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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