Cinquemila morti. È il numero delle vittime mietute da Cosa Nostra prima, dopo e durante gli anni delle stragi di Capaci e via D'Amelio. Una guerra sanguinaria che coinvolse, tra gli altri, moltissimi uomini delle istituzioni: magistrati, poliziotti e carabinieri. Eroi in divisa che pagarono con la vita la lotta alla mafia nel corso di un vero e proprio stillicidio. A partire da Boris Giuliano, il capo della Squadra Mobile di Palermo assassinato il 21 luglio del 1979, fino a Claudio Traina, l'agente ucciso nell'attentato al magistrato Paolo Borsellino.
I primi attentati
"Siamo cadaveri che camminano". Furono le parole, rivelatesi poi drammaticamente profetiche, pronunciate dal vice questore della Polizia di Stato Ninni Cassarà il 30 aprile del 1982 davanti all'auto crivellata di proiettili in cui furono rinvenuti i corpi senza vita del sindacalista Pio La Torre e del suo autista, Rosario Di Salvo. Al tempo, i media non avevano ancora restituito né le immagini devastanti della strage di Capaci né quelle di via D'Amelio. Eppure la cricca dei Corleonesi, capeggiata da Totò Riina, e quella guidata da Stefano Bontade e Gaetano Baldamenti, avevano già dichiarato guerra aperta alle istituzioni.
Il primo a farne le spese fu il Capo della Squadra Mobile di Palermo Boris Giuliano, ucciso da un killer solitario il 21 luglio del 1979. La sua "colpa" fu quella di indagare i rapporti tra la mafia siciliana e quella americana: i Corleonesi non gli perdonarono l'affronto. Leoluca Bagarella, affiliato con il clan di Cosa Nostra, gli sparò a distanza ravvicinata sette colpi di pistola con una Beretta 7,65, uccidendolo. In quello stesso anno, il 25 settembre del 1979, furono assassinati anche il giudice Cesare Terranova e un uomo della sua scorta, il maresciallo di Polizia Lenin Mancuso. Alcuni malviventi aprirono ripetutamente il fuoco con una carabina Winchester verso la Fiat 131 a bordo della quale viaggiavano il magistrato e il suo braccio destro. A Terranova, già in agonia, i sicari riservano anche il "colpo di grazia" sparandogli un colpo a bruciapelo dietro la nuca.
Gli anni '80
Gli anni '80 furono contrassegnati da una sanguinaria escalation di omicidi. Il 4 maggio del 1985, il capitano dei Carabinieri Emanuele Basile, tra i fidati collaboratori di Borsellino, fu assassinato con un colpo di pistola alla schiena mentre teneva in braccio la figlioletta di 4 anni. Basile aveva indagato sull'agguato a Boris Giuliano riuscendo ad arrestare diversi mafiosi collusi con il clan di Totò Riina. Un mese dopo, il 6 agosto del 1980, fu ucciso con tre colpi di pistola alle spalle il procuratore capo di Palermo Gaetano Costa. Tra i suoi interventi più coraggiosi vi è stata la convalida dell'arresto di 55 "uomini d'onore": fu l'unico firmatario dell'ordinanza. Un atto di coraggio che pagò con la vita.
L'assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa
Generale dei carabinieri, e poi prefetto di Palermo dopo la lotta al banditismo e alle Bigate Rosse, Carlo Alberto Dalla Chiesa fu ucciso la sera del 3 settembre 1982. Erano le ore 21.15 quando il prefetto, che viaggiava a bordo di una A112 insieme alla consorte Emanuela Setti Carraro, fu affiancato da una BMW lungo via Carini, nel capoluogo siciliano. Dalla vettura partirono una raffica di Kalashnikov AK-47: per il generale dalla Chiesa e sua moglie non ci fu alcuna possibilità di schivare i colpi. Nei minuti successivi, l'auto con a bordo l'autista e agente di scorta Domenico Russo fu affiancata da una motocicletta: ci fu un'altra pioggia di colpi. Domenico Russo morì a Palermo dopo 12 lunghi giorni di agonia.
Gli omicidi tra il 1983 e il 1985
A metà degli anni '80 incalzarono gli agguati. Il 13 giugno del 1983 fu assassinato il capitano Mario D'Aleo insieme all'appuntato Giuseppe Bommarito e al carabiniere Pietro Morici. D'Aleo era riuscito a far condannare i tre killer che uccisero il Capitano dei Carabinieri Emanuele Basile individuando come mandante dell'omicidio Giuseppe Brusca, boss di San Giuseppe Lo Jato, noto negli ambienti malavitosi come "u scannacristiani" per la ferocia con cui uccideva le vittime.
Il 29 luglio del 1983 toccò la stessa sorte drammatica al giudice Rocco Chinnici che perse la vita in un'esplosione provocata da 75 kg di tritolo insieme ai carabinieri e agenti di scorta Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta. Il 28 luglio del 1985 fu ucciso il commissario Giuseppe "Beppe" Montana. Due killer gli sparano mentre si trovava al molo di Porticello insieme alla sua fidanzata. Il 6 agosto 1985 cadde sotto una pioggia di proiettili il magistrato Ninnì Cassarà. Nell'agguato mortale perse la vita anche un agente della scorta, Roberto Antiochia, nel vano tentativo di ripare il magistrato dai colpi.
L'importanza della memoria
Una lunga scia di sangue, quella iniziata nel 1979, che culminò con due attentati indimenticati: la strage di Capaci, in cui fu ucciso il magistrato Giovanni Falcone, e quella di via D'Amelio, in cui perse la vita il giudice Paolo Borsellino. A trent'anni dalle stragi che sono diventate l'emblema di una stagione drammatica, il sindacato di Polizia Coisp, guidato da Domenico Pianese, celebra il sacrificio degli eroi in divisa attraverso un vero e proprio percorso della memoria che avrà inizio oggi, 23 marzo, durante il Congresso Nazionale del Sindacato. "Perché accanto a Falcone e Borsellino i nomi sono tanti, troppi, e non vanno dimenticati. - spiegano dal Coisp - Uomini che si sono adoperati con interventi legislativi e con indagini coraggiose, e che hanno pagato con la vita, lasciando tuttavia un segno prezioso e importante.
Per questo è importante un percorso della memoria: per non dimenticare chi, col suo sacrificio, ha fatto la differenza, credendoci ancora e ancora quando tutto sembrava volgere al peggio. Del resto, è stato proprio Falcone a dire ‘Gli uomini passano, le idee restano. Continuano a camminare sulle gambe di altri uomini'".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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