
L'U.S. Naval Institute ha pubblicato un interessante articolo che analizza la possibilità di un attacco cinese a Pearl Harbor e alla costa occidentale degli Stati Uniti. Scritta dal tenente colonnello (in pensione) Thomas McCabe dell'U.S. Air Force, già analista del dipartimento della Difesa ed esperto di Cina, l'analisi prende le mosse dall'attacco giapponese a Pearl Harbor che portò all'ingresso degli Stati Uniti nella Seconda Guerra Mondiale affermando che Washington, allora, riteneva erroneamente che il conflitto col Giappone avrebbe avuto inizio nel Pacifico occidentale e che le Hawaii fossero al sicuro da ogni tipo di attacco. L'autore pertanto si domanda se gli Usa possano commettere lo stesso errore oggi, sottovalutando le risorse cinesi di attacco in profondità.
In un potenziale conflitto con la Cina, in particolare uno combattuto per Taiwan, è ragionevole aspettarsi che la guerra inizi dopo un periodo di crescenti tensioni, il che darebbe alle forze statunitensi la possibilità di prepararsi. Pechino si aspetterebbe un rapido intervento degli Stati Uniti per supportare l'isola pertanto le basi statunitensi nel Pacifico occidentale (Okinawa, Filippine e Guam), sarebbero probabili obiettivi per un attacco missilistico cinese. Le navi da guerra statunitensi in mare o nei porti della regione andrebbero incontro allo stesso tipo di minaccia. Washington terrebbe gran parte della flotta in mare all'inizio del conflitto, ma una parte significativa resterebbe a Pearl Harbor e nelle basi sulla costa occidentale. Se diamo per assodato che la priorità della Cina sarebbe quella di colpire le forze schierate in prima linea, bisogna anche considerare che riterrebbero prudente anche eliminare quanti più potenziali rinforzi possibile, quindi andando a colpire le retrovie del nemico quantomeno per disarticolarne la capacità di sostegno logistico.
L'autore quindi si domanda come la Cina potrebbe farlo e individua due possibili strade, che ritiene entrambe percorribili e non escludenti l'una con l'altra. La prima è quella di utilizzare le unità da guerra per lanciare un attacco con missili da crociera sulle basi hawaiane e della costa occidentale Usa: un'opzione che ritiene poco probabile, in quanto metterebbe a rischio gli assetti utilizzati (sottomarini e navi di superficie) ma che potrebbe essere presa in considerazione per il fatto che i piani di guerra seguono comunque una logica di rischio accettabile, determinata di volta in volta dal valore dell'obiettivo strategico (o tattico) raggiunto. I giapponesi ad esempio, ricorda McCabe, quando attaccarono Pearl Harbor misero in conto la possibilità di perdite ingenti in caso di reazione avversaria determinata dalla mancanza di sorpresa. La seconda opzione sarebbe quella di utilizzare l'imponente flotta mercantile cinese, che opera sotto bandiere di comodo, per colpire utilizzando sciami di droni e missili da crociera celati in container. Alcuni droni kamikaze, come il “Sunflower” hanno una portata di 2mila chilometri, ma un piccolo carico bellico (nell'ordine dei 40 chilogrammi di esplosivo ad alto potenziale) che comunque, secondo l'autore, sarebbero sufficienti per provocare danni consistenti se utilizzati a sciami, oppure danni tali da mettere fuori causa i sistemi del nemico.
Viene anche riferito che la possibilità di colpire con efficacia i propri obiettivi è data dalle nuove costellazioni satellitari cinesi come quella di satelliti militari Yaogan, la nominalmente civile Jilin, costituita da 300 satelliti pianificati entro il 2025 e il sistema di 300 satelliti ottici, radar, iperspettrali e infrarossi Chutian, il cui lancio però è pianificato entro il 2030.
Il colonnello McCabe termina la sua trattazione affermando che la difesa statunitense deve affrontare il triste fatto che, almeno all'inizio di una guerra, potrebbero non esserci retrovie affidabili e sicure nel Pacifico, e che l'impatto di questa minaccia sarebbe drammatico. Per prepararsi, infatti, tutte le basi statunitensi nel Pacifico e sulla costa occidentale, non solo quelle avanzate, hanno bisogno di difese aeree e missilistiche integrate, comprese le difese contro i droni. Queste dovrebbero essere pronte per un'attivazione rapida in caso di crisi, se non costantemente pronte anche in tempo di pace. Considerando il numero di basi che necessitano di protezione, costruire difese adeguate rischia di essere estremamente costoso in un momento in cui il bilancio della difesa è già al limite.
Il colonnello dimentica però di considerare che la Cina, in caso di attacco, scatenerebbe una lotta antisatellite senza precedenti per cercare di deteriorare la situational awareness statunitense, e con ogni probabilità darebbe vita ad attacchi cyber su vasta
scala per creare confusione in tutti gli Stati Uniti oltre che alle Hawaii. Nemmeno si deve sottovalutare la possibilità che vengano utilizzati nuovi e vecchi assetti aerei per lanciare missili balistici e da crociera.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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