“Si fa una gran polemica per avere una legge che anticiperebbe di soli due anni ciò che oggi si ottiene non appena si diventa maggiorenni…". Giorgio Mori, avvocato e responsabile immigrazione di Fratelli d’Italia a Roma, commenta così la proposta di Forza Italia di introdurre nel nostro ordinamento lo ius scholae, ossia la possibilità di ottenere la cittadinanza dopo aver concluso la scuola dell’obbligo.
Si spieghi meglio…
"Per gli stranieri non c’è molta differenza tra ottenere la cittadinanza a 16 oppure, come avviene attualmente, a 18 anni dato che anche da minorenni non sono privi dei diritti fondamentali quali, ad esempio, il diritto alla salute e all'istruzione".
La legge del 1992, quindi, funziona?
“La legislazione attuale garantisce già abbastanza gli stranieri residenti nel nostro Paese, però, esiste un buco normativo perché la norma non prevede di dover dimostrare di aver frequentato le scuole in Italia”.
Quale sarebbe, dunque, la ricetta migliore per una nuova legge sulla cittadinanza?
"Una ricetta mista che tenga conto dell’integrazione culturale dello straniero e della prassi presente in Italia dove tra le comunità straniere soprattutto del Sud-Est asiatico c'è l’usanza di far studiare e crescere i propri figli nel loro Paese d’origine. Si tratta, quindi, di minori residenti in Italia solo fittiziamente che, a 18 anni, tornano in Italia e pretendono la cittadinanza pur non sapendo parlare italiano. Si parla di ius scholae solo in Italia proprio perché all’estero si controlla già per davvero che i minori stranieri vadano a scuola”.
Quali sarebbero, invece, i rischi se passasse lo ius scholae?
“Una modifica della normativa attuale consentirebbe aggiramenti della legge perché i minori verrebbero sfruttati strumentalmente per ottenere i ricongiungimenti familiari e per far così arrivare in Italia anche stranieri che sono stati precedentemente espulsi. Ma non solo. Modificando la legge, rischiamo di chiudere il cerchio favorendo l’immigrazione illecita e organizzata dei minori. Dietro l’arrivo dei minori non accompagnati esiste un vero e proprio business”.
Ma se, come lei ha già detto, la differenza sarebbe solo di due anni perché insistere nel mantenere a 18 anni la concessione della cittadinanza?
“Qualora noi anticipassimo a 16 anni la capacità di decidere sulla cittadinanza, in realtà, faremo ricomprendere la scelta della cittadinanza in relazione a una serie di diritti che non prevedono la coscienza e la volontà del maggiorenne per il quale, invece, è prevista la capacità di agire. Questo significherebbe svilire la cittadinanza che implica non solo la partecipazione al voto, ma un’adesione ai valori di un determinato Paese. Il vero tema è un altro...”.
Cioè?
“Dovremmo avere maggiore
sensibilità verso gli stranieri che vivono da 20-30 e che non hanno mai visto il loro Paese d’origine però non hanno ancora la cittadinanza perché in passato i genitori erano clandestini oppure non avevano una residenza regolare”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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