Graham Green, Antonin Artaud, André Breton, e poi Ret Marut, che si farà chiamare B. Traven (e il suo romanzo Il tesoro della Sierra Madre diventerà un film da Oscar) e Arthur Cravan, cugino di Oscar Wilde, pugile, amico di Blaise Cendrars e forse, in realtà, un'altra falsa identità di Ret Marut... E, su tutti, Malcom Lowry e Lev Trotsky, lo scrittore inglese e il rivoluzionario russo, entrambi arrivati in Messico nel 1937. È questo mondo del Messico della fine degli anni Trenta del secolo scorso, popolato di esiliati e fuggitivi, artisti e sbandati, che Patrick Deville ci racconta in Viva (Nottetempo, pagg. 228, euro 17,90). Lo scrittore francese ha presentato il libro a Milano, al Festival «2084 - Le meraviglie del possibile» della Scuola di scrittura Belleville.
Patrick Deville, nel suo libro si incrociano moltissimi personaggi di ambiti diversi: che cosa hanno in comune?
«Certamente è il Messico stesso che li accomuna. Sono tutti personaggi realmente esistiti, che hanno vissuto o soggiornato temporaneamente in Messico negli stessi anni. Dopo la rivoluzione politica del 1914 e quella agricola, per molti il Messico è il Paese più accogliente, quello che spalanca le porte al mondo. Bisogna tenere conto della situazione europea di quel periodo: negli anni Venti e Trenta c'erano il franchismo e poi la guerra in Spagna, il fascismo in Italia, lo stalinismo in Russia. Per molti europei il Messico ha costituito la via di fuga da una dittatura verso un Paese accogliente».
I personaggi a cui è più affezionato?
«Quelli dalle vite più romanzesche. Sicuramente quelle di Malcolm Lowry e di Lev Trotsky. Quanto agli altri, ci sono molti personaggi in fuga, in esilio, che cambiano nazionalità, che hanno false identità, che spariscono misteriosamente come Cravan, o come Traven, che non muore ma si appropria di identità multiple e non sapremo mai esattamente chi sia stato...».
Uno dei fili conduttori è il rapporto fra arte e politica.
«Quello che mi interessava della relazione tra Lowry e Trotsky, oltre al fatto che arrivino nello stesso anno, è proprio la questione dell'arte e della politica. Non bisogna dimenticare che Sotto il vulcano, il romanzo di Lowry, è un'opera in 12 capitoli, che rappresentano le 12 ore diurne, e che Trotsky compare nel primo e nell'ultimo capitolo».
In che rapporto li vede?
«Da parte di Lowry c'è una grande fascinazione per la politica. Lowry è convinto che la sua missione nella vita sia la letteratura, ma nel romanzo c'è ovunque il rimorso di una mancata azione politica. Mentre lui è in Messico a scrivere, in Spagna c'è la guerra: molti dei suoi amici sono partiti per combattere a fianco dei repubblicani e lui ha il rimorso di non essere con loro».
E Trotsky?
«Trotsky incarna l'azione politica, ha fatto la rivoluzione russa, ha creato l'Armata Rossa e arriva in Messico dopo essere stato in Francia prima e in Norvegia poi, da esiliato, perseguitato contemporaneamente sia dai nazisti tedeschi sia dagli stalinisti russi. Ma Trotsky è anche quello che attende che la rivoluzione sia compiuta per tornare alla letteratura, perché lui stesso era uno scrittore ed era stato un critico letterario. È questo rapporto inverso tra letteratura e politica che in qualche modo lega i due personaggi. Anche se non si sono mai incontrati».
Quanto è stato importante il Messico per Lowry?
«Importantissimo. Sotto il vulcano è un romanzo scritto in inglese, ma è un romanzo totalmente messicano. Lowry è stato travolto e sconvolto dalla sua vita in Messico».
Chi è Maurice Nadeau e perché è importante in questa storia?
«È un editore francese immenso, che è morto da qualche anno. È stato il primo a pubblicare Sotto il vulcano in traduzione ed è stato fondamentale per il successo del libro nel mondo. Con Lowry aveva un rapporto stretto: si sono scritti molte lettere, che Nadeau ha condiviso con me, e che mi sono state molto preziose. Ha invitato Lowry a Parigi, dove peraltro lo scrittore aveva già vissuto. Inoltre Nadeau era un trotskista e aveva conosciuto Trotsky personalmente: in un certo senso ha costituito un legame diretto tra Lowry e Trotsky».
Come è nata la sua passione per il Messico?
«Fa parte di un progetto che porto avanti da 25 anni, quello di scrivere 12 libri su 12 Paesi del mondo: uno di quelli prescelti era appunto il Messico».
Quali altri scrittori e artisti hanno avuto legami importanti con il Messico in quegli anni?
«Fra gli europei, Antonin Artaud. Non dimentichiamo che a quei tempi facevano tutti capo al gruppo di artisti e intellettuali locali, fra cui Tina Modotti, Diego Rivera e Frida Khalo, che fu la prima a ospitare Trotsky. Il Messico in quegli anni era un crocevia importantissimo per gli artisti del mondo».
Un altro tema del libro è il fallimento: della rivoluzione, dell'esistenza... C'è un legame tra il fallimento e la fuga in Messico?
«Non so se ci sia un legame preciso con la fuga, ma comunque penso che sia meglio un fallimento magnifico di un successo mediocre.
È vero che sia Lowry sia Trotsky finiscono male: Lowry muore alcolizzato, ma al tempo stesso scrive un'opera grandiosa come Sotto il vulcano; Trotsky viene assassinato con un colpo di piccozza in testa, ma al tempo stesso è riuscito a scrivere le sue opere in Messico e le sue idee politiche sopravvivono alla sua morte. Quindi possiamo parlare di fallimenti, ma sono comunque fallimenti grandiosi».(Traduzione di Lorenza Pieri)
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