Nel regno del provvisorio, anche Fratelli d'Italia fu scelto soltanto "per ora"

Il 12 ottobre '46 il Consiglio dei ministri lo adottò «provvisoriamente», il verbale fu firmato del sottosegretario Andreotti. De Gasperi non voleva irritare la Santa Sede. Pietro Nenni annotò nei Diari: «Hanno scelto in mia assenza. Tutto provvisorio, dal 2 giugno in poi...».

Forse non ha molto senso parlarne, di sicuro è superflua tanta acrimonia. Fatto è che l'«Inno di Mameli» - sul quale si accapigliano per l'ennesima volta leghisti e finiani - è il giusto inno per l'Italia. Una marcia stile Ottocentesco istituita in «via provvisoria» dai Padri costituenti, in un Paese dove non c'è nulla di più definitivo del «provvisorio».

Il ministro La Russa, per tagliare le unghie ai detrattori di Mameli, vorrebbe creare un riferimento normativo come del resto già esiste per l'esposizione della bandiera tricolore all'articolo 12 della Costituzione. Nessuna legge, invece, stabilisce ufficialmente che l'inno nazionale italiano sia il «Canto degli italiani», meglio conosciuto come «Fratelli d'Italia». Perché? La storia è complessa, nella sua semplicità italica.

Composto nel 1847 da Goffredo Mameli e musicato da Michele Novaro, l'inno fu ignorato fino al 2 giugno 1946, quando come inno nazionale veniva ancora utilizzata la Marcia Reale. Con l'avvento della Repubblica si aprì il dibattito sulla sua sostituzione. Il 12 ottobre 1946 la questione venne affrontata temporaneamente in una riunione del Consiglio dei ministri. Si legge nel verbale di discussione di quel giorno: «On. Cipriano Facchinetti, ministro per la Guerra - In merito al giuramento delle Forze armate avverte che sarà effettuato il 4 novembre. Quale inno si adotterà l'inno di Mameli. La formula nuova del giuramento sarà sottoposta all'Assemblea Costituente. Si proporrà schema di decreto col quale si stabilisca che provvisoriamente l'inno di Mameli sarà considerato inno nazionale. Gli ufficiali che si rifiutassero di giurare saranno considerati dimissionari. Gli ufficiali giureranno il giorno tre novembre». Una curiosità: quel verbale, che resta l'unico atto da cui emerge il valore conferito all'inno, reca la sola sigla del segretario del Consiglio dei ministri, cioè il sottosegretario alla Presidenza Giulio Andreotti.
Né il decreto citato né, successivamente, altri provvedimenti al riguardo saranno mai emanati.Come la questione fosse stata liquidata in fretta e furia lo testimonia Pietro Nenni che nelle pagine del suo «Diario», a proposito di quel Consiglio dei ministri, annota: «In mia assenza l'Inno di Mameli è stato scelto come inno provvisorio della Repubblica. Tutto provvisorio dal 2 giugno in poi...».

Nelle settimane successive seguitò a regnare questo atteggiamento di provvisorietà, anche perchè non venne emanata alcuna circolare che formalizzasse meglio la decisione presa. Dalla provvisorietà alla confusione il passo fu breve. Il ministero degli Esteri, sulla base di quanto scrivevano i giornali, invocò chiarezza alla presidenza del Consiglio, mentre proposte con spartiti musicali e testi cominciarono a pervenire a diversi uffici dello Stato. In una lettera indirizzata alla presidenza del Consiglio il primo luglio 1947, il capo di gabinetto della Difesa rilevava come «nelle cerimonie ufficiali in sostituzione del passato inno nazionale vengono eseguiti uno o più d'uno dei seguenti inni: inno del Piave, inno di Mameli, inno di Garibaldi e quindi chiedeva lumi in merito a quale «dei tre inni, rappresentando l'inno nazionale ufficiale, i reparti sotto le armi debbono presentare le armi». Questa la risposta dal capo di gabinetto della presidenza del Consiglio: «In attesa della scelta e del riconoscimento formale del nuovo inno nazionale, potrà essere adottato come tale l'inno di Mameli».

La vicenda relativo all'inno si trascinò ancora avanti nei mesi successivi. L'Associazione nazionale reduci lanciò la proposta di un concorso per un «inno della ricostruzione», mentre in vista delle Olimpiadi di Londra che si sarebbero tenute nel luglio successivo, Giulio Onesti presidente del Coni nell'aprile 1948 chiedeva «quale musica deve essere adottata come inno ufficiale italiano».

Nella pratica, comunque, l'opera di Mameli prese il sopravvento. Del resto il 22 dicembre 1947, l'approvazione definitiva della Carta Costituzionale da parte dell'Assemblea Costituente venne accolta dall'intonazione dell'inno di Mameli da parte del pubblico delle tribune, imitato dai padri costituenti che si alzarono in piedi.

Sul carattere provvisorio dell'inno sono state avanzate diverse supposizioni. Per alcuni fu una scelta di Alcide De Gasperi che non volle urtare la sensibilità di Papa Pio XII, il quale riteneva il canto di Mameli troppo mazziniano e giacobino. Non a caso la proposta in Consiglio dei ministri il 12 ottobre del '46 era stata portata dal ministro della Guerra, Cipriano Facchinetti, repubblicano e massone. Per altri era dovuto all'eccesso di retorica («L'elmo di Scipio» e «La schiava di Roma») presente nel testo. Va ricordato, inoltre, che era stata avanzata anche l'idea di adottare come canto nazionale l'«Inno di Garibaldi», ma il fatto che l'effigie dell'eroe dei due mondi fosse ormai divenuta monopolio di socialisti e comunisti, che l'avevano utilizzata come simbolo elettorale nella tornata amministrativa a Roma e Napoli nel '46, fece tramontare quasi subito tale ipotesi.Il 17 giugno 1998, in un articolo apparso sul «Tempo», Giulio Andreotti fornì la propria testimonianza intorno al dibattito sull'inno nei primi anni dell'Italia repubblicana: «La disputa tra i favorevoli e i contrari all' elmo di Scipio continuò senza grande impegno sondandosi il favore comparativo tra il coro del Nabucco e quello dei Lombardi (di Padania allora non si parlava).

Un deputato musico, Corrado Terranova, cercò di risolvere il caso componendo un inno, che a sue spese fece incidere e diffondere, ma senza alcun risultato.

Intanto le cancellerie straniere sollecitavano la decisione per essere pronte in caso di visite di stato dei presidenti italiani. Al silenzio ufficiale - rilevava Andreotti - riparò il cerimoniale dando al Mameli l'investitura praticamente ufficiale».

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